P. Ibrahim: i cristiani di Aleppo e la lenta rinascita della metropoli “paralizzata” dalla guerra
Da una realtà industriale che forniva il 60% della produzione del Paese si è passati a una città “consumatrice”. Il tema della sicurezza e le cellule terroristiche dormienti. Una generazione di bambini “distrutta” dal conflitto e le sproporzioni sociali: per ogni giovane vi sono oggi 12 ragazze. Il dialogo con l’islam giocato sull’identità, la carità e la testimonianza.
Firenze (AsiaNews) - Prima della guerra Aleppo “era una metropoli che forniva circa il 60% della produzione industriale” di tutta la Siria, era il cuore pulsante “a livello economico e commerciale”. Oggi, invece, è “come paralizzata” e “non produce più nemmeno un chilo di pomodoro”, si è trasformata “solo in una grande consumatrice”; il governo non è in grado di avviare progetti di ricostruzione e resta attuale il tema della sicurezza “per la presenza di cellule [terroriste] addormentate, ma pronte a colpire”. È quanto racconta p. Ibrahim Alsabagh, 44enne francescano, parroco e guardiano della parrocchia latina di Aleppo, in questi giorni in Italia per una serie di conferenze. Intervistato da AsiaNews il sacerdote non perde però la speranza e racconta i progetti avviati dalla comunità cristiana per restituire “un futuro” di pace e convivenza alla città e al Paese.
Uno dei problemi principali, racconta p. Ibrahim, è quello di “una generazione di bambini distrutta dalla guerra: sono inquieti, agitati, resistono a ogni progetto di educazione, manifestano segni di violenza, i loro giochi spesso ricordano atti di guerra cui si uniscono manifestazioni verbali offensive”. Purtroppo, prosegue, “la violenza è un elemento quotidiano che dalla strada è entrata nelle famiglie, per questo una delle sfide principali è proprio quella di ricostruire la personalità di questi bambini. Un tema che non riguarda solo la scuola, ma comprende un sostegno psicologico e coinvolge la Chiesa e la parrocchia, con attività mirate”.
Se il cessate il fuoco raggiunto nel dicembre scorso ha segnato la fine del conflitto aperto e la divisione in due settori della città, ancora oggi si verificano lanci di razzi e di mortai in alcuni quartieri. A questo si aggiunge la presenza di gruppi estremisti al momento “dormienti”, ma che sono “pronti a colpire” e il rischio attentati è “sempre presente” anche se finora “non si sono registrati gravi atti di violenza”.
“L’ideologia fondamentalista - racconta ancora il parroco di Aleppo - ha messo le radici dentro la mente di una parte della popolazione, facendo leva sull’ignoranza, la povertà, il desiderio di rivalsa. Speriamo che il tema del terrorismo resti solo una paura latente e non porti a gesti concreti contro una popolazione civile che è tornata da poco a vivere, a sperare”.
P. Ibrahim ricorda gli ultimi tre anni di guerra, del freddo in inverno e del caldo d’estate, dei missili caduti ovunque e che hanno centrato anche la chiesa, durante una celebrazione. “Per un miracolo - racconta - l’ordigno non è esploso, poteva causare una strage con decine di vittime, invece abbiamo contato solo qualche ferito lieve”.
Uno dei problemi ancora attuali “è la cronica mancanza di acqua”. Negli ultimi tempi, spiega divertito, “ho stabilito un record: mi sono fatto la doccia utilizzando solo un quarto di bottiglia di acqua”. Legata alla mancanza di acqua è anche l’insorgenza periodica di infezioni intestinali, mentre la fornitura di elettricità “di recente è migliorata, tanto che per la festa musulmana di Eid la luce è tornata per qualche ora. E dopo tanto tempo le famiglie hanno potuto riutilizzare il ferro da stiro, la lavatrice… piccoli gesti di un quotidiano dimenticato a lungo”.
Le sfide che deve affrontare oggi Aleppo “sono molte”, a partire da una “società squilibrata, in cui gli anziani sono abbandonati alla loro sorte e muoiono da soli perché nessuno se ne occupa. E poi le vedove, le mamme giovani e sole con i loro bambini perché i maschi - prosegue il parroco - sono spariti. Chi non è morto a causa del conflitto è scappato all’estero per sfuggire al servizio militare obbligatorio. Da un lato è importante difendere la famiglia, la patria, ma è anche comprensibile che un giovane non voglia morire. Tanti si trovano in Libano o Giordania, alla ricerca di un lavoro qualsiasi per sopravvivere. Per ogni giovane ci sono 12 ragazze, una sproporzione enorme”.
Di fronte a bisogno sempre più vasti, la Chiesa locale ha avviato nei mesi scorsi numerosi progetti che proseguono con successo: dalla pulizia della città agli aiuti alle giovani coppie di sposi, dai pacchi alimentari ai fondi per le forniture elettriche, i centri estivi per centinaia di bambini, i contributi per coprire le spese sanitarie e le medicine, le visite, gli esami, le cure. “Tutte cose - spiega p. Ibrahim - che la gente non si può permettere”.
“Finora - sottolinea il sacerdote - abbiamo dato a 250 persone la possibilità di avviare una piccola impresa: falegnameria, pasticceria, tessile, piccoli negozi, per contribuire al sostentamento delle famiglie. A ciascuno, previa valutazione del progetto di impresa, abbiamo fornito dalle 1000 alle 1500 euro per l’avvio dell’attività. Altre 300 persone aspettano una risposta dopo aver presentato i progetti sulla carta”.
Fra le attività che più stanno a cuore al sacerdote, il sostegno alle giovane coppie di sposi in tempo di guerra: “Ad oggi - racconta - sono circa 940 famiglie cristiane di tutti i riti. Quanta fatica, ma anche quanta gioia deriva da questo progetto” che ha attirato anche l’attenzione di molte famiglie musulmane. Ed è proprio sulle opere, sull’attività di caritativa e nei gesti di tutti i giorni che si gioca la sfida dell’incontro e del dialogo [concreto] con l’islam, andando oltre i discorsi e i propositi di facciata. “Il peso del fondamentalismo - conclude p. Ibrahim - ci ha riavvicinati, gli incontri sono più frequenti e non vi sono solo compromessi, ma dialoghi sinceri. Bisogna guardare al bene comune, all’educazione di una generazione che deve superare l’ideologia estremista e ricostruire una città, una nazione attraverso l’identità, la testimonianza e la carità che tocca i cuori”.
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