P. Clemente Vismara, beato perché ha vissuto “lo straordinario nell’ordinario”
di Angelo Campagnoli
Una bella testimonianza raccolta dal Tribunale diocesano per la beatificazione di Clemente Vismara, di Angelo Campagnoli, suo confratello di missione in Birmania. Ecco un estratto.
Bangkok (AsiaNews) - La vita di Vismara non ha un prima e un dopo, è la ripetizione degli stessi gesti per 65 anni. Come ha incominciato così ha finito, è sempre stata la stessa vita, sempre uguale ma sempre nuova perché Clemente ripeteva gli stessi gesti con lo stesso entusiasmo della prima volta: accettare orfani, diseredati, oppiomani, vedove e ricominciare sempre da capo; poi fondare cappelle, scuolette, villaggi e ricevere catecumeni, battezzare, istruire… In un mondo tribale in cui non cambia mai niente, è stato sempre uguale dall’inizio alla fine: una fedeltà per 65 anni che meraviglia.
L’impressione che dava a me padre Clemente era quella di una ruota che continuava a girare: quando i bambini che aveva raccolto orfani diventavano grandi, si sposavano, uscivano dalle sue cure, ma altri erano già pronti a ricominciare il giro. Là le generazioni si contano di vent’anni in vent’anni, così lui ha visto quattro generazioni: era il padre, il nonno, il bisnonno e il trisnonno dei bambini che aveva quanto è morto. Lui scriveva, cercava soldi, aiutava, aveva suore, catechisti, vedove che lo aiutavano… Il suo problema era quello di dar da mangiare a tutti e questo, in quell’ambiente, era il massimo del successo.
La sua frase famosa: “Sei vecchio quando non sei più utile a nessuno”, nasce dal fatto che lui è rimasto utile a tutti fino a 91 anni e si sentiva realizzato. Si prendeva cura delle nuove situazioni che gli capitavano: sempre poveri, bambini, vedove, lebbrosi… tutti lo entusiasmavano di nuovo come se fosse la prima volta. Questo era il suo stile e pur invecchiando è rimasto sempre uguale a se stesso, non è mai invecchiato. Non era un bigotto, aveva la sua vita di pietà, faceva tutti i giorni le pratiche di pietà secondo la vecchia tradizione. Però era anche libero, disposto ad interrompere la preghiera per rispondere a qualcuno e poi riprenderla. Era libero di spirito e aveva molto buon senso. Queste era la sua giovinezza, la sua santità.
Clemente era un uomo di fede pratica, aveva una visione soprannaturale della vita, un profondo abbandono in Dio. Tutto in lui era guidato dalla fede, che era alla base della sua forza e delle sue certezze. La fede gli dava la forza di perseverare, anzi di cominciare sempre da capo, anche quando le delusioni si ripetevano. Era entusiasta della sua vocazione e, proprio perché ci credeva con passione, riusciva a comunicarla. La gioia di vivere è un’altra caratteristica singolare di padre Vismara. Certo essa era una dote naturale e su questa si riposava la sua vita spirituale, in lui non c’era distinzione fra le due sfere.
In genere i missionari hanno tutti qualche carisma particolare: chi suona, chi sa organizzare bene i canti e la liturgia, chi se ne intende di costruzioni, chi di motori, chi sa le lingue, chi cura i malati meglio di un dottore. Lui no, non eccelleva in niente, ma era sempre presente a tutto, lasciava fare agli altri, animava tutti, un mare di cose che nella sua missione andavano avanti. Non aveva carismi speciali. Sapeva animare gli altri, sapeva accogliere, incoraggiare, aveva la delicatezza di una madre e la forza di un padre. Era un grande uomo.
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