P. Cedric Prakash: Il giorno più infame dell’India, quello degli attivisti arrestati
Gli intellettuali arrestano si battono per i diritti dei dalit e criticano il governo nazionalista indù. L’obiettivo dei raid della polizia è polarizzare il dibattito politico in vista delle elezioni generali del 2019. Contro gli attivisti, “accuse costruite ad arte”. “È una situazione da incubo, che non ha eguali”.
New Delhi (AsiaNews) – Il 28 agosto è stato “uno dei giorni più infami dell’India”. Lo afferma p. Cedric Prakash sj, responsabile della comunicazione del Jesuit Refugee Service (Jrs) nella regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa). In quella notte in varie città dell’India sono stati arrestati cinque famosi attivisti che si battono per i diritti dei dalit e criticano il governo nazionalista indù di Narendra Modi per le sue politiche discriminatore nei confronti dei più deboli e delle minoranze. Il sacerdote lamenta che il giro di vite sugli intellettuali critici verso il premier serve ad un unico scopo: polarizzare il dibattito politico in vista delle elezioni generali del 2019. Inoltre dichiara: “Il silenzio è complicità e consenso! Il popolo dell’India deve svegliarsi ora, resistere con forza e agire insieme, per assicurare che tutti gli indiani godano dei diritti e delle libertà sanciti nella Costituzione”.
Nel Paese l’arresto degli intellettuali continua a polarizzare il dibattito pubblico. Secondo il gesuita, le perquisizioni condotte dagli agenti servono “per fabbricare prove”. La polizia di Pune nel Maharashtra, che ha emesso i mandati di perquisizione, e “altri responsabili, hanno fatto di tutto per fornire un’intera gamma di ‘motivi’ per giustificare le loro azioni: tra questi, che gli attivisti fomentano la violenza; simpatizzano per gruppi maoisti illegali; complottano l’omicidio del primo ministro; sono dei ‘naxaliti urbani’ [il termine ‘naxalite’ indica i guerriglieri maoisti attivisti nell’India del nord-est, ndr]; sono intolleranti nei confronti dell’attuale sistema politico, e via dicendo”.
P. Prakash replica alle accuse: “I cinque arrestati sono tutti rinomati attivisti umani, che da anni lavorano nei limiti della Costituzione indiana e prendono bastonate al posto di poveri, emarginati ed esclusi. Sono intellettuali di tutto rispetto, che hanno dato un grande contributo a questo Paese. Essi hanno combattuto nei tribunali; aiutato a mobilitare le persone (in particolare adivasi e dalit) per lottare per i propri legittimi diritti; in maniera sistematica svelano i legami tra i politici e i loro potenti e ricchi amici; soprattutto, lavorano per una società più giusta, equa e umana”.
Per p. Prakash, i raid sono la vendetta dei nazionalisti, che invece di essere arrestati per le violenze del gennaio scorso nella manifestazione dei dalit, sono rimasti impuniti. “Non c’è dubbio – continua – sul fatto che l’India viva in un periodo che è peggio delle situazioni d’emergenza. Un regime fascista, composto di assassini e complice con corrotti, capitalisti e persone con interessi personali, se la cava con impunità, anche se essi corrodono in maniera sistematica tutto ciò che è sacro nella Costituzione”. Citando le parole dell’intellettuale Nayantara Sahgal, p. Prakash lamenta infine che chiunque non “calzi a pennello con l’ideologia dell’Rss [Rashtriya Swyamsevak Sangh, gruppo paramilitare ultranazionalista indù - ndr]” rischia di essere ucciso, “le persone vengono sottoposte a interrogatorio per sedizione e atteggiamento anti-nazionale. È una situazione da incubo, che non ha eguali”.
11/07/2019 14:40