Ottimisti, pessimisti, apocalittici: la Russia guarda ai 100 anni dalla Rivoluzione
Sono cominciate le celebrazioni per il centenario della rivoluzione russa del 1917. E’ importante una revisione storica: quei tempi sono molto simili ai nostri della post-globalizzazione. Il silenzio del Patriarcato di Mosca e il silenzio di Vladimir Putin.
Mosca (AsiaNews) - Il centenario della rivoluzione russa del 1917 promette di essere un percorso lungo e accidentato, come l’evento stesso che viene commemorato. Si tratta infatti, come è noto, di una doppia rivoluzione: quella del “Febbraio”, una rivolta spontanea che portò all’abdicazione dello zar Nicola II e all’instaurazione di un Governo Provvisorio, e quella dell’ “Ottobre”, il colpo di stato che portò al potere i bolscevichi di Lenin. In mezzo, in realtà, successero diverse cose: Lenin arrivò soltanto in aprile; il traballante governo provvisorio fu messo in piedi a maggio; i Soviet si organizzarono a giugno con il loro primo congresso; a luglio vi fu un’altra sollevazione spontanea a Pietrogrado. Ad agosto la Chiesa ortodossa si riunì in Concilio; a settembre vi fu l’estremo tentativo del generale Kornilov di evitare la catastrofe, e infine in ottobre i bolscevichi si presero con la forza un potere che ormai non era più in mano a nessuno, assaltando il Palazzo d’Inverno.
Ognuna di queste fasi, con i vari eventi che in esse si svolsero, merita approfondite riletture e comparazioni, anche perché l’impossibilità della Russia di risolvere la crisi del 1917 assomiglia molto a situazioni di disgregazione e ingovernabilità oggi sempre più frequenti, in Europa e nel mondo. Accostate a situazioni analoghe della Germania, dell’Italia o della Spagna del primo dopoguerra, queste circostanze gettano una luce inquietante sui tempi che stiamo vivendo nella post-globalizzazione degli ultimi anni.
Le prime riflessioni in Russia si sono succedute in questo mese di marzo, cui si riferiscono le prime sollevazioni “di febbraio” (vista la differenza dei due calendari, anche la rivoluzione “d’ottobre” accadde in realtà a novembre). La rivolta del 23 febbraio infatti avvenne l’8 marzo, ed è questo il motivo della celebrazione mondiale della “Festa della donna” in quella data, anche se viene ricordato raramente. Le donne di Pietrogrado (come si chiamava allora la capitale) scesero in piazza per chiedere il pane: la Russia si era rovinata con la guerra, e le poche guardie rimaste (tutto l’esercito era al fronte) non seppe trattenere l’impeto popolare. Lo zar Nicola II, in preda alla depressione e all’alcolismo, si dimise in favore del fratello Michele, che a sua volta rinunciò al potere, gettando la Russia nel caos.
Nel fiume d’inchiostro e di parole che si sta riversando su tutti i mezzi d’informazione russi, e in tutto il mondo, si possono distinguere almeno tre correnti. Da una parte gli ottimisti, che ritengono che la rivoluzione si potesse evitare, dall’altra i pessimisti, che sostengono che essa avrebbe avuto luogo comunque, anche se gli eventi fossero andati diversamente; e un terzo gruppo, che potremmo chiamare gli apocalittici, che vedono nel 1917 una profezia per il futuro della Russia e del mondo intero.
Secondo gli ottimisti, bastava che lo zar evitasse la guerra (o la vincesse) e non si facesse prendere dal panico rinunciando al trono, e tutto sarebbe andato bene. In fondo, la Russia dei primi anni del secolo si era lanciata in una serie di riforme politiche, economiche e sociali, che se fossero state portate a termine, avrebbero garantito un radioso futuro. Questa opinione in qualche modo rafforza le speranze dei riformisti odierni circa il futuro della Russia stessa (molti aspettano da Putin una svolta riformista), dell’Europa e dell’economia globale, in crisi ormai da un decennio.
I pessimisti si basano anche sugli esempi degli altri paesi: in Germania, Italia e Spagna non vi fu alcuna rivoluzione, ma arrivò lo stesso la dittatura, e il mondo precipitò nella catastrofe della guerra mondiale. Riportata all’oggi, questa lezione insegna che non si può fermare la rabbia degli esclusi, delle classi sociali in sofferenza, delle masse martoriate dallo sfruttamento dei potenti. E quindi ci aspettano tempi molto bui.
La visione apocalittica appartiene principalmente ai movimenti religiosi e alle ideologie identitarie più estreme, che vedono nella rivoluzione una “prova” e una necessaria “purificazione” per ritrovare la retta via. La guida di questa palingenesi viene attribuita alla Chiesa, al “popolo fedele” contro i mali del mondo, e preferibilmente all’apparire messianico di un “uomo forte” in grado di unire tutti gli uomini di buona volontà.
Spesso queste diverse visioni attraversano l’opinione pubblica dei vari Paesi, anche all’interno degli stessi corpi sociali o delle comunità religiose. Il Patriarcato di Mosca, ad esempio, ha finora evitato di prendere ufficialmente posizione, limitandosi a una conferenza scientifica tenuta il 18 febbraio scorso nella Cattedrale del Salvatore, cui hanno preso parte diverse personalità della cultura, della società e della Chiesa stessa. Il metropolita Ilarion si è limitato in essa ad accostare fatalisticamente la rivoluzione ad altri eventi tragici della storia russa (il giogo tartaro, i torbidi del Seicento, la guerra con Napoleone), ricordando che la Chiesa è sopravvissuta a tutto questo, rimanendo sempre vicina al suo popolo. Ben più esplicita la dichiarazione del 10 marzo di un’altra parte della Chiesa Ortodossa Russa, quella Estera “zarista” che ebbe origine proprio dopo la rivoluzione, e che vede la necessità di restaurare il potere “voluto da Dio” anche nella Russia di oggi, per la salvezza del mondo.
Il presidente Putin, finora, non ha voluto pronunciarsi in alcuna circostanza, lasciando ad altri il compito di indicare nella sua figura l’unica via di salvezza della Russia, e forse del mondo intero, dal ripetersi di tanto tragici eventi. Vedremo ora chi si pronuncerà per commentare le famose “Tesi di aprile” di Lenin, in cui si teorizzava la guida sovietica del popolo, la “minoranza illuminata” che si attribuiva il ruolo di coscienza delle masse inconsapevoli. È l’essenza del leninismo (e dell’antico gnosticismo cristiano): quando tutto va male, bisogna affidarsi ai pochi “uomini puri”.
Anche il patriarca di Mosca Kirill finora ha taciuto, ma gli toccherà ricordare i 100 anni di restaurazione del suo stesso ruolo patriarcale, e chiedersi, lui come tutti i cristiani del mondo, quale sarà il ruolo della Chiesa nei tempi che ci aspettano.