27/07/2007, 00.00
AFGHANISTAN – COREA DEL SUD
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Ore di ansia, dopo la scadenza dell'ultimatum per i 22 ostaggi coreani

di Pino Cazzaniga
Il governo di Kabul sembra convinto che sia possibile un esito positivo della vicenda. Ma a Seoul, dopo l’uccisione del pastore che guidava i volontari, regna la preoccupazione. Una drammatica telefonata di una donna che fa parte degl gruppo dei rapiti.
Seoul (AsiaNews) – Un appello “a fare qualcosa perché ci rilascino” lanciato telefonicamente da una donna che fa parte dei supestiti 22 sudcoreani rapiti a Ghazni, in Afghanistan, è la più recente novità di una vicenda per la quale il governo afghano continua a manifestare ottimismo, mentre proseguono le trattative e Seoul vive una angosciata attesa, dopo la scadenza dell’ultimatum da parte dei rapitori, fissato alle 13 locali, le 8 GMT.
 
La donna, che ha detto di chiamarsi Yo Syun Ju, parlando con un giornalista afghano ha sostenuto che gli ostaggi “stanno tutti male”.
 
E’ che, malgrado le affermazioni tranquilizanti di Kabul e la presenza in Afghanistan di un inviato del governo sudcoreano, dalla tarda serata di mercoledì tutta la Corea del sud è scioccata dalla notizia dell’uccisione del leader dei 23 coreani catturati dai guerriglieri talebani in Afganistan il 19 luglio.
 
La polizia afgana della provincia di Ghazni ne aveva trovato il cadavere crivellato da 10 pallottole che da giornalisti coreani è stato identificato come quello del pastore presbiteriano Bae Hyung-kyu (42 anni). Il governo di Seoul ha confermato l’identità. Qualche ora prima, Yousuf Amhadi,, portavoce dei guerriglieri talebani, ne aveva dato notizia a un’agenzia di stampa: “Abbiamo ucciso uno dei coreani perchè il governo non è stato onesto nei colloqui”.
 
Quella sera nella chiesa della comunità dei Saemmul, di cui sono membri la maggior parte dei giovani in ostaggio, erano radunati circa un migliaio di fedeli, in attesa di notizie. Circa un’ora prima dell’incredibile annuncio, era stato reso noto che i talebani avevano accettato di rilasciare 8 ostaggi (sei donne e due uomini) e che gli ostaggi liberati erano già al sicuro in una base americana nella provincia di Ghazni.
 
La notizia era in parte vera e in parte falsa: la NHK, rete televisiva giapponese, ha precisato che l’accordo del rilascio, ottenuto grazie all’esborso di un’ ingente somma di denaro, non si era realizzato perche’ i talebani,mentre si recavano sul luogo indicato per la consegna, intravviste sulla strada autoveicoli corazzati, hanno fatto marcia indietro riportando gli ostaggi nel nascondiglio. Le speranze erano annientate. Il raduno si è trasformato in una veglia di preghiera. “Il pastore trucidato - hanno detto i suoi colleghi nella chiesa di Saemmul - è stato per i giovani un leader dalla forte personalità: con il suo esempio di dedizione al volontariato per i poveri ha ispirato molti fedeli”. Il fatto che la sua morte è avvenuta nel giorno del suo compleanno la rende ancor piu’ tragica.
 
Nato nell’isola di Jeju si è laureato all’università Hanyang (Seoul), e, dopo aver lavorato per alcuni anni in una ditta, ha deciso di seguire un corso di teologia pastorale nel seminario teologico presbiteriano di Seoul ed è stato ordinato nel 2001. Ha poi preso un master all’università cattolica Sogang diretta dai gesuiti. La comunità Saemmul, della quale sono membri la maggior parte degli ostaggi, è stata fondata da lui assieme l’attuale parroco (head priest) Park Eun-jo.
 
Bae era anche direttore della Korea Foundation for World Aid. Nel mese di aprile si era recato in Bangladeshi per servizi di volontariato e, dopo aver guidato il gruppo dei volontari in Afghanistan, sarebbe andato in Africa per aiutare i poveri. Lascia la moglie e una figlia di nove anni.
 
Non è chiaro il motivo dell’uccisione. Un ufficiale della polizia afgana ha detto che l’ostaggio è stato trucidato perchè si era ammalato e camminava con fatica. Opinione confermata da fonte talebana. Ma membri della communità Saemmul hanno detto che le condizioni di salute di Bae erano buone. Si presume che lo abbiano ucciso perchè prete cristiano.
 
La protesta del governo di Seoul è stata immediata e forte. Cho Hee-yong, portavoce del ministero degli esteri, confermando con volto duro l’uccisione di “un nostro cittadino nell’Afghanistan” ha detto: “Il nostro governo, ancora una volta, chiede fortemente ai rapitori di lasciare ritornare immediatamente gli ostaggi alle loro famiglie e noi continueremo a fare del nostro meglio per ottenere che essi ritornino sani e salvi”. Non sono parole di routine. Il presidente Roo Moo-hyun dal giorno del rapimento si impegna al massimo per la loro liberazione, e questa volta ha la fiducia del popolo. Nella notte tra martedì e mercoledì ha avuto un colloquio telefonico di venti minuti con il presidente afghano Hamid Karzai: il riserbo diplomatico non impedisce di intuirne il contenuto: nessun ricorso alla forza armata, ma solo dialogo. Ha poi inviato in Afganistan una delegazione presidenziale di 5 membri mettendovi a capo Baek Jong-chun., il suo principale consigliere per la politica estera e la sicurezza. “Il governo coreano - ha detto Baek - è profondamente rattristato dalla notizia che uno degli ostaggi coreani è stato ucciso dai talebani. Il governo denuncia fortemente questo loro atto di brutalità”.
 
L’azione governativa sembra aver avuto effetto, almeno per ora. Benchè la scadenza “ultima e deftiva”, secondo Ahmadi, sia passata, fonti del governo afgano e dei talebani stessi assicurano che nessuno dei 22 ostaggi è stato ucciso.
 
I negoziati continuano a vari livelli, ma con difficoltà perché le richieste dei talebani non sono chiare. Tra loro ci sono “falchi” e “colombe”. I primi esigono assolutamente il rilascio di ugual numero di prigionieri talebani, i secondi si accontenano di riscatto in denaro.
 
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