Onu: sono più di 100mila le vittime del conflitto siriano. L'opposizione divisa fra islamisti e laici
New York (AsiaNews) - Sono ormai più di 100mila le vittime del conflitto che da oltre due anni ha colpito la Siria. LO afferma il segretario generale dell Onu Ban Ki-moon ribadendo ancora una volta che è necessaria una conferenza di pace per porre fine alla carneficina. Naturalmente le cifre sono approssimate per difetto perché entrambi gli schieramenti in lotta, l'esercito regolare di Assad e le opposizioni, tendono a non comunicare il numero preciso dei morti.
L'Osservatorio siriano peri diritti umani, basato in Gran Bretagna, afferma che dal 10 luglio, inizio del Ramadan - un mese dedicato a preghiera digiuno e pace con i vicini - vi sono stati più di 2mila morti. Sempre secondo l'Osservatorio, la maggior parte degli uccisi di questo periodo sono combattenti, ma nel bilancio totale, le morti civili raggiungono quota 639, dei quali 105 sono bambini e 99 donne.
L'idea di una conferenza di pace - sostenuta soprattutto da Onu e Vaticano - rimane l'unica possibilità per la fine del conflitto. Ma a frenare la realizzazione sono stati anzitutto Stati Uniti e Russia, per un disaccordo su chi doveva parteciparvi (in gioco vi erano l'Iran e lo stesso Assad). A tutt'oggi a ritardare la Conferenza sono gli stessi protagonisti della lotta. La Siria, che continua a mietere successi militari e recupera nuove parti del territorio, spera di aprire l'incontro dopo aver riconquistato Homs, una forte base sunnita. L'opposizione ritarda perché è divisa su chi deve rappresentarla: se membri del Free Syrian Army (Fsa), laico, o rappresentanti di gruppi islamisti legati ad Al Qaeda. Nelle scorse settimane vi sono state lotte intestine, con l'assassinio di alcuni capi dell'esercito siriano libero da parte di gruppi musulmani radicali.
Lo Fsa combatte per un regime laico e cerca di avere l'appoggio dell'occidente; i jihadisti vogliono distruggere ogni regime laico ("bahatista") e imporre la legge islamica.
Le divisioni nell'opposizione - e il timore di vedere rafforzata l'ala islamista - sta raffreddando anche le potenze occidentali finora desiderose di applicare uno schema "libico" alla Siria (approntare un "canale umanitario"; colpire l'esercito di Assad; garantire zone di rifugio per profughi e ribelli). A frenare gli entusiasmi vi è pure la crisi economica: l'attuazione di un piano "libico" costerebbe miliardi di dollari alla settimana e coinciderebbe con una esplicita dichiarazione di guerra.