14/08/2014, 00.00
IRAQ
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Onu: emergenza profughi in Iraq. Le Chiese del mondo per i cristiani in fuga

Le Nazioni Unite hanno dichiarato il “Livello 3 di allerta”, il più elevato, per “facilitare” la mobilitazione di beni e risorse. Sempre più drammatiche le condizioni delle minoranze sfollate in seguito all’avanzata degli islamisti. Solidarietà e preghiere dall’arcivescovo di Singapore e dalla Cei. Da Bartolomeo I un richiamo contro l’indifferenza e il silenzio. A Mosul gli islamisti "cancellano" la via dedicata a mons. Rahho.

Baghdad (AsiaNews) - Le Nazioni Unite hanno dichiarato il più alto livello di emergenza per la crisi umanitaria in Iraq, mentre peggiorano le condizioni delle centinaia di migliaia di profughi - Yazidi, cristiani, turcomanni e Shabak - in fuga dalle milizie dello Stato islamico. La rapida avanzata dei guerriglieri sunniti nel nord rende più difficoltose le operazioni di aiuto e assistenza da parte dei governi occidentali e della comunità internazionale. Tuttavia, secondo gli esperti Onu il "Livello 3 di allerta" dovrebbe "facilitare" la mobilitazione di ulteriori beni e risorse, oltre che di finanziamenti, per garantire una migliore risposta ai fabbisogni delle popolazioni. Le attenzioni si concentrano attorno al monte Sinjar, dove permangono fra i 20 e i 30mila Yazidi in attesa di soccorso e la situazione resta "critica". Nella sola Dohuk secondo le autorità curde vi sono almeno 150mila rifugiati, un numero persino superiore alla popolazione locale che cerca in tutti i modi di accoglierli e soccorrerli. 

A Erbil le condizioni delle minoranze in fuga restano fragili e precarie, mentre poco lontano dai confini della regione autonoma curda scoppiano combattimenti improvvisi e imprevedibili con le milizie islamiche. Le temperature superano i 40 gradi, servono cibo e acqua, oltre che mezzi per conservarli al fresco. I rifugiati necessitano anche di medicine e assistenza psicologica, anche se la maggior parte è alla ricerca di documenti con cui poter poi emigrare all'estero, in cerca di sicurezza. Anche i cristiani del nord, che hanno trovato riparo nelle chiese della città, riferiscono che "l'attacco dello Stato islamico è quanto di peggio poteva accadere" e a fronte di "molte guerre", non si era mai visto sinora "niente di simile". 

Intanto fonti di Ankawa.com riferiscono che le truppe del Califfato, che da inizio giugno controllano Mosul, avrebbero rimosso il cartello con il nome del vescovo e martire Paul Faraj Rahho, deceduto nel marzo 2008 durante un sequestro perpetrato da gruppi armati islamisti. Dopo la sua morte le autorità cittadine avevano voluto dedicare al prelato irakeno una via, di fronte alla chiesa caldea di San Paolo. Nei giorni scorsi i miliziani ex Isis (Stato islamico dell'Iraq e del Levante) hanno rimosso l'insegna e ora intendono rinominare la via a uno dei loro capi, il leader estremista Abe Abdul Rahman Albelawy. 

Per ricordare la situazione della minoranza cristiana irakena - e di tutti i perseguitati del mondo - domani, festa dell'Assunta, la Chiesa italiana ha indetto una giornata di preghiera. Promossa dalla Conferenza episcopale, essa si richiama all'appello lanciato da Papa Francesco nell'Angelus del 10 agosto scorso, in cui il Pontefice argentino esprime "incredulità e sgomento" di fronte alle notizie che provengo dall'Iraq. Per rispondere all'emergenza umanitaria, AsiaNews ha lanciato l'iniziativa "Adotta un cristiano di Mosul", un modo concreto per rispondere al dramma in corso nel Paese arabo e sostenere i fedeli nel mirino dello Stato islamico. La campagna ha già raccolto centinaia di adesioni in tutto il mondo. 

Solidarietà ai cristiani irakeni giunge anche da Singapore, dove l'arcivescovo mons. William Goh invita i fedeli della città-Stato a pregare "per quanti sono afflitti dalle guerre" e, in modo particolare, "per i nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati nelle loro terre". Il pensiero va ai cristiani irakeni vittime delle "atrocità" commesse dalle milizie dello Stato islamico, le cui sofferenze "ci colpiscono in quanto persone e in quanto membri della Chiesa". 

Un richiamo contro "l'indifferenza" e il "silenzio" davanti alla recente "ondata di violenze contro famiglie innocenti e bambini in Iraq" giunge anche dal Bartolomeo I. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli parla di "persecuzione irrazionale, intolleranza culturale e spaventosa perdita di vite umane", causata in special modo dall'odio religioso e dall'ostilità razziale. Bartolomeo condanna lo sradicamento non di una minoranza, ma di una "intera civiltà" che non è giustificabile davanti a Dio o per motivi religiosi. E lancia un appello a tutti i leader mondiali, fra cui i capi di Israele e Gaza, perché "mettano fine all'escalation dei conflitti". 

A dispetto degli appelli di pace, la situazione in Iraq resta critica e a Baghdad permane uno stallo politico che dura ormai da mesi. L'ex premier Nouri al-Maliki conferma l'intenzione di ricorrere alla Corte federale per ottenere l'incarico di formare il nuovo governo, che il presidente (curdo) Fuad Masum ha invece affidato al vice-presidente del Parlamento Haidar al-Abadi, uno sciita. Il Primo Ministro in pectore gode del sostegno di Stati Uniti e Iran, oltre ad aver ricevuto l'investitura ufficiale da parte della massima autorità religiosa sciita irakena, il grande ayatollah Ali al-Sistani, il quale invoca in una lettera discontinuità rispetto al passato e un governo in grado di unire il Paese. Tuttavia, i tempi per la formazione di un nuovo esecutivo restano lunghi e non si intravedono all'orizzonte soluzioni rapide della crisi. 

 

 

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