Onu: Israele ha attaccato le scuole a Gaza. Leader palestinese: ora punire i responsabili
Gerusalemme (AsiaNews) - “La storia ruota attorno al concetto primario di responsabilità: vi è una linea rossa che non si può superare, anche in caso di guerra. Quando colpisci istituzioni civili, come scuole e ospedali, non vi sono leggi o giustificazione alle quali ti puoi appigliare”. È quanto sottolinea ad AsiaNews il prof. Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, commentando il recente rapporto Onu che accusa Israele. Ieri le Nazioni Unite hanno pubblicato un’inchiesta che punta il dito contro l’esercito, responsabile di sette attacchi verso scuole Onu a Gaza. Il segretario generale Ban Ki-moon si è detto “rammaricato” per la morte di 44 palestinesi e il ferimenti di altri 227 e definisce la vicenda un fatto “gravissimo”.
Chiamata “Operazione Margine di protezione”, la campagna lanciata da Israele nella Striscia per bloccare i lanci di missili sul proprio territorio è iniziata l’8 luglio 2014 e si è conclusa il 26 agosto successivo. Le violenze hanno causato 2.200 vittime fra i palestinesi (di cui 1.500 civili) e 73 morti sul versante israeliano, 67 dei quali fra i soldati. Almeno 11mila i feriti, la maggior parte dei quali sul fronte palestinese, di cui il 70% civili. Nel conflitto sono deceduti oltre 500 bambini.
Intervistato da AsiaNews, il prof Sabella ricorda che “è responsabilità” delle parti in guerra “non colpire i civili” e se accade “non vi sono leggi o giustificazioni cui appigliarsi”. “Siamo di fronte a una grave infrazione - prosegue il leader cattolico palestinese - riconosciuta da un organismo internazionale come l’Onu. È naturale che i responsabili debbano essere condotti davanti alla giustizia; il principio di responsabilità deve valere per i singoli, per le organizzazioni, vedi i terroristi dello Stato islamico, e per le nazioni”.
Dal rapporto delle Nazioni Unite emerge anche che le scuole erano usate dai militanti di Hamas nella Striscia come deposito per armi e munizioni e i civili, in alcuni casi, sono stati sfruttati come scudi umani. Israele avrebbe anche aperto un’indagine interna e assicura che punirà gli autori degli attacchi alle strutture Onu a Gaza. Tuttavia, secondo il rappresentante cattolico di Fatah non vi possono essere giustificazioni di sorta ed è importante che, oltre a un’indagine internazionale, ora vi sia anche “un organismo indipendente” chiamato a giudicare questi crimini. “Sono le Nazioni Unite che devono istruire un processo e giudicare - aggiunge il prof. Sabella - perché hanno stilato un rapporto e ora trarne le conseguenze. Se fai la guerra, devi rispondere alle leggi internazionali. Non puoi colpire civili dall’altra parte se questo serve a proteggere i tuoi soldati, come fa Israele”.
Sempre ieri l’ong Peace Now ha diffuso la notizia sul via libera delle autorità di Israele per la costruzione di 77 nuovi insediamenti a Pisgat Zeev e Neve Yaakov, nei pressi di Gerusalemme est. Si tratta del primo bando pubblico di costruzione dalle elezioni israeliane del mese scorso e una conferma della politica espansionista del premier Benjamin Netanyahu e del partito Likud.
Da anni i dialoghi di pace fra Israele e Palestina si arenano perché l'Autorità palestinese domanda il (mai avvenuto) congelamento delle colonie nei Territori occupati. Al presente vi sono circa 500mila israeliani insediati tra Gerusalemme est e la Cisgiordania. La presenza di queste colonie, illegali in base alle leggi internazionali, rompe la continuità territoriale palestinese e il legame fra i Territori e Gerusalemme est rendendo difficile, se non impossibile, la costituzione di uno Stato palestinese.
“Questa è una chiara indicazione - commenta il prof. Sabella - di come Israele prosegua nel solco della vecchia politica. Non si vede una prospettiva all’orizzonte per la soluzione dei due Stati; fino a che i legislatori continueranno la politica degli insediamenti non vi potrà mai essere la pace”. E se non si raggiunge un chiaro accordo, conclude il leader cattolico di Fatah, “significa che faremo più guerre, e vi saranno sempre più civili uccisi sui due fronti. È nostra responsabilità fermare il conflitto e lavorare per una soluzione pacifica, altrimenti perdiamo tutti in Terra Santa”.(DS)
07/07/2006