20/11/2023, 10.50
INDONESIA
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Ong indonesiane (anche cristiane) in campo per l’accoglienza dei Rohingya

di Mathias Hariyadi

I recenti sbarchi hanno rilanciato l’allarme sulla situazione dei “boat-people” in fuga da Myanmar. Il 17 ottobre almeno 249 rifugiati respinti al largo della costa di Aceh. In pochi giorni oltre 600 sono sbarcati in territorio indonesiano. Una proposta in otto punti per affrontare l’emergenza, seguendo i dettami del diritto internazionale. 

Jakarta (AsiaNews) - I recenti arrivi al largo delle coste indonesiane di centinaia di rifugiati Rohingya da Bangladesh (e Myanmar), moderni “boat-people” in fuga dalla povertà e dalla guerra, ha rilanciato il tema del diritto all’accoglienza nel Paese. Almeno 12 organizzazioni non governative, gruppi attivisti ed enti legati alla Chiesa locale sottolineano la necessità - se non l’obbligo morale e giuridico - di prestare aiuto, stilando un elenco in punti da seguire per gestire al meglio l’emergenza. Nella nota congiunta i movimenti si rivolgono al governo e ai cittadini, perché non venga meno il sostegno ma che sia, al contempo, organizzato e non lasciato al caso o alla buona volontà delle singole realtà in campo. 

La questione era emersa già il 17 ottobre scorso, quando 249 Rohingya sono stati respinti nel tentativo attraccare sulle coste di Aceh e ricacciati nel mar delle Andamane, per poi allontanarsi nelle acque dell’oceano. Oltre a negare lo sbarco sono state ignorate anche le richieste di cibo e acqua fatte dai rifugiati, in disperato bisogno di aiuto. La scorsa settimana si è registrato il terzo sbarco in pochi giorni, che ha portato a oltre 600 il numero di Rohingya in territorio indonesiano in cerca di aiuto e riparto. Secondo alcune informazioni sarebbero oltre 2mila i “boat-people” che hanno intrapreso il (rischioso) viaggio verso le coste indonesiane. 

La grande maggioranza proviene da Cox’s Bazar, in Bangladesh, enorme campo profughi in cui vivono oltre un milione di Rohingya, spesso in condizioni disastrose. Fra il 14 e il 17 novembre vi sono stati almeno tre sbarchi a Bireuen e North Aceh, tanto è bastato per rilanciare l’allarme fra i cittadini e le sfere governative a Jakarta, soprattutto per le loro condizioni al momento dell’arrivo. A questo si lega lo scontro fra quanti vorrebbero promuovere una politica di respingimenti e quanti, anche in nome del principio islamico “peumulia jamee” dell’accoglienza, chiedono di aiutare. 

Da qui la scelta di 12 organizzazioni e istituzioni di pubblicare una nota congiunta, in cui richiamano le leggi e il diritto internazionale secondo cui un individuo, compresi i rifugiati, non dovrebbe essere cacciato dal Paese in cui cerca protezione. Fra i movimenti firmatari dell’appello vi sono il Jesuit Refugee Service Indonesia (Jrs Indonesia), Sahabat Insan, Human Rights Working Group (Hrwg), Banda Aceh Legal Aid Agency e RDI Urban Refugee Research Group (Rdi-Uref). Essi ricordano che i respingimenti contrastano con norme interne (Presidential Regulation 125/2016 secondo cui sono responsabilità della polizia una volta sbarcati, per poi essere assegnati ai centri per l’immigrazione) e direttive emerse anche di recente in incontri globali come il G-20, l’Asean e in previsione del Global Refugee Forum a dicembre. Ad Aceh, sottolineano, queste direttive sono state ignorate di proposito, violando i diritti dei migranti Rohingya, sebbene l’Indonesia non sia firmataria della Convenzione sui rifugiati del 1951, ma altri ne sono stati ratificati nel tempo fra cui la legge sui mari (Unclos). 

Da qui l’appello in otto punti delle 12 organizzazioni firmatarie, che delineano i principi di intervento e le modalità da seguire per garantire, nel rispetto del diritto, piena dignità a “boat-people”, rifugiati e richiedenti asilo: sostenere attuazione e adempimento dei diritti umani in tema di rifugiati, salvando le imbarcazioni e cancellando la politica dei respingimenti; attuare il decreto presidenziale 125/2016 sull’accoglienza (dei Rohingya); pronto intervento della task-force dedicata alla gestione dei rifugiati stranieri; coinvolgere membri e vertici delle comunità locali nell’accoglienza; indicare e sostenere luoghi di rifugio temporaneo, in particolare ad Aceh Nord e Bireuen; coinvolgere istituzioni internazionali e agenzie umanitarie nell’opera di coordinamento con il governo, per una responsabilità condivisa; ruolo dei membri delle comunità locali; identificare e proteggere i gruppi vulnerabili sulle imbarcazioni, tra cui persone malate, bambini, donne incinte, vittime di violenza, persone con disabilità e altri.

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