Oltre 140mila emigranti palestinesi cancellati dall’anagrafe israeliana dopo il 1967
I membri di HaMoked hanno scoperto l'esistenza del documento per puro caso, mentre cercavano alcune informazioni sul caso di un residente della Cisgiordania imprigionato in Israele. In questi giorni le autorità Israeliane hanno ammesso l’esistenza di un regolamento, ma i responsabili di allora nei territori occupati si sono detti all’oscuro di una sua effettiva applicazione.
Secondo Samir Qumsieh, direttore di Al Mahed Nativity tv, emittente cattolica di Betlemme, lo Stato di Israele ha attuato questa politica per diminuire la percentuale di residenti nei territori occupati. “A tutt’oggi – afferma il giornalista ad AsiaNews - Israele sta facendo la stessa a Gerusalemme Est, dove da anni porta avanti una politica di espropri per aumentare l’indice demografico della popolazione israeliana”. Qumsieh sottolinea che “da anni l’autorità palestinese tenta di fermare questa procedura, ma penso che sia una battaglia perduta”.
Dall'occupazione della Cisgiordania (1967) fino a oltre la firma degli accordi di Oslo (1994), le autorità hanno obbligato i palestinesi che volevano viaggiare all'estero attraverso la Giordania a depositare le loro carte di identità prima di passare il confine. I documenti d’identità venivano sostituiti con altri validi per l’espatrio che scadevano dopo tre anni. Senza nessun preavviso, i palestinesi che non restituivano la carta entro sei mesi dalla scadenza venivano cancellati dall’anagrafe regionale insieme ai loro familiari e registrati come “non più residenti”, con conseguente perdita dei diritti di proprietà sui beni. In questi anni Israele ha restituito la residenza solo a 10mila persone e a tutt’oggi sono oltre 130mila i palestinesi (circa il 14% della popolazione) elencati come "non più residenti”. In molti casi le autorità israeliane hanno attuato la medesima procedura anche per i carcerati. Molti di loro all’uscita di prigione si sono ritrovati senza casa e con i terreni confiscati dallo Stato. (S.C.)