Oil-for-food: ecco le prove della corruzione all'Onu
Roma (AsiaNews) La presentazione del rapporto Volcker sul programma Oil-for-food ha svelato che la corruzione riguardava una vasta rete di personaggi altolocati, istituzioni pubbliche e aziende private. Tra i nomi coinvolti Benon Sevan, il capo del programma ONU, la banca BNP, controllata dallo Stato francese, l'azienda olandese Saybolt, tra le maggiori al mondo nel campo delle ispezioni merceologiche.
A breve verrà resa nota la posizione di Kojo Annan, figlio dell'attuale segretario delle Nazioni Unite. Annan jr era dipendente della Cotecna Ispectation, un'azienda svizzera che aveva ricevuto l'incarico di monitorare il Programma delle Nazioni Unite in Iraq. Un documento specifico della commissione Volcker su Annan padre e figlio è atteso nei prossimi mesi. Intanto, dopo la divulgazione del Rapporto, Kofi Annan, pur condannando l'operato di Sevan, si è difeso affermando che "le agenzie Onu erano obbligate a lavorare in difficili condizioni con il regime corrotto iracheno". Egli però ha rivendicato il "successo" dell'azione Onu durante l'embargo: "Abbiamo portato cibo a 27 milioni di iracheni" ha detto Annan "e la denutrizione fra i bambini iracheni è calata del 50% grazie ai nostri interventi".
All'indomani del rapporto Volcker un ministro iracheno aveva definito "parassiti" i funzionari Onu corrotti e aveva chiesto la restituzione del denaro "rubato al popolo iracheno".
Annan ha dichiarato che dalle conclusione di Volcker "derivano molte importanti insegnamenti per tutti noi" e che "molte raccomandazione [derivanti dal Rapporto] saranno applicate in tutte le sedi Onu del mondo".
La pubblicazione del rapporto Volcker ha riproposto all'attenzione del pubblico gli scandali e la corruzione del programma Oil-for-food, iniziato nel 1996. Il Programma prevedeva che Saddam Hussein, durante il periodo delle sanzioni internazionali, potesse vendere petrolio a condizione di investire i proventi nell'acquisto di generi umanitari a favore della popolazione. Ma indagini approfondite hanno svelato che Saddam ha contrabbandato petrolio con i paesi vicini e con industrie occidentali, e si è arricchito sfruttando il Programma con la connivenza di alti funzionari Onu.
Il greggio iracheno di contrabbando veniva venduto a circa 7-8 dollari al barile franco bordo (cioè, a costo di partenza). Dall'Iraq il greggio veniva trasportato in autocisterna fino ai porti turchi del Mediterraneo oppure in ferrocisterna alle raffinerie siriane, o ancora mediante bettoline (in inglese barges) da 1.000/2.000 tonnellate. Da Bassora queste piccole imbarcazioni, spesso con documenti iraniani, raggiungevano navi cisterna di maggiore tonnellaggio ancorate al largo del Golfo Persico, oltre lo stretto di Hormuz. Il trasporto via mare era l'opzione in teoria meno onerosa rispetto a quello via terra, ma rischiava il sequestro da parte delle navi militari che pattugliavano la zona. Giunto a destinazione, il greggio di contrabbando veniva miscelato con altri greggi legittimi in modo da non permettere una chiara identificazione.
Il greggio venduto tramite l'Oil-for-food, il cui un prezzo era fissato dall'Onu, era molto concorrenziale rispetto ad altri tipi di greggio. Per questo motivo gli acquirenti finali erano quasi tutte le grandi compagnie petrolifere americane, europee, cinesi ed indiane.
I grandi gruppi usavano però delle "precauzioni": i titolari delle vendite dirette con l'Onu risultavano essere piccole società, di solito non soggette a stretti controlli di legge. Ad esempio, tra queste aziende "fantasma" vi era una piccola società siciliana. Tali aziende, per poter aver la fornitura Onu, dovevano ottenere pure il gradimento della SOMO, la società petrolifera statale irachena. Pertanto esse si avvalevano di mediatori, in genere mediorientali, per il pagamento di commissioni che variavano dai 20 ai 70-80 centesimi di dollaro al barile, a seconda della maggiore o minore concorrenzialità del prezzo rispetto alle quotazioni di mercato.
Le società titolari delle allocazioni Onu, tramite i mediatori, assegnavano le proprie quote alle grandi società petrolifere internazionali, come ad esempio la Vitol, la Glencore, la Arcadia o la Trafigura. Queste società di "trading" noleggiavano le navi cisterna e rivendevano poi i carichi alle raffinerie a reso a destinazione.
In questo modo la sporca compravendita non lasciava traccia per le grandi sigle internazionali e nemmeno venivano a galla i nomi dei mediatori. I quali erano incaricati di versare denaro non solo dalla famiglia Hussein, ma anche ai manager della SOMO. Oggi sappiamo però che ad essere pagati non erano solo gli iracheni, ma anche alti funzionari delle Nazioni Unite.29/12/2004
16/12/2021 14:02