09/04/2009, 00.00
IRAQ – TURCHIA – STATI UNITI
Invia ad un amico

Obama in Medio oriente: l’Iraq migliore alleato degli Usa

di Saywan Barzani*
Gli obiettivi del presidente Usa restano gli stessi del predecessore Bush. Più della Turchia, l’Iraq potrà diventare il vero elemento di stabilizzazione della regione. A condizione che vengano raggiunti gli obiettivi legati alla sicurezza e allo sviluppo economico. La minaccia iraniana la sfida più grande per la pace.
Parigi (AsiaNews) – Per prima cosa credo che con la nuova amministrazione Obama, la politica americana cambi nella forma ma in linea di massima rimane invariata. Il modo di comunicare è molto più curato, rispetto a quello più rude dei due mandati della presidenza Bush. Gli obiettivi nel concreto, però, restano gli stessi: dar vita a un Iraq aperto e democratico, alleato degli Stati Uniti nella regione per diffondere i propri ideali ai popoli arabi e introdurre riforme politiche, amministrative, economiche e culturali.
 
Per quanto concerne le nazioni confinanti con l’Iraq, è evidente che Obama concentri i suoi sforzi per promuovere una alleanza con una Turchia più aperta e stabile; senza dimenticare la questione interna curda, per la quale il presidente americano ha chiesto ad Ankara una soluzione pacifica e delle riforme a favore del popolo curdo. Per la prima volta un capo di Stato americano ha incontrato il presidente del Dtp, il Partito curdo della Società Democratica; questo è un segnale forte per incoraggiare l’esercito e il partito di governo Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) a regolare la questione curda nel quadro dell’unità nazionale della Turchia. Risolto il problema, Ankara potrà ambire a uno status di Paese vicino all’Occidente moderno.
 
La minaccia iraniana: guerra o diplomazia?
 
L’altra questione scottante del Medio oriente, la Repubblica islamica dell’Iran, mette in gioco la sicurezza di Israele e la salvaguardia degli interessi americani. Per questo, Obama vuole perseguire una politica di dialogo con Teheran per convincerla a interrompere il programma nucleare militare. Ma, per ora, non si vede alcuna soluzione. L’Iran continuerà a dire che il suo programma nucleare ha scopi pacifici; Israele e l’occidente continueranno a esercitare pressioni.
 
Questo potrà avvenire sia aumentando le sanzioni economiche e diplomatiche, sia spingendo per la seconda opzione, quella militare. Essa rimane sempre una ipotesi disponibile, anche se nessuno vuole assumersi la responsabilità. In primo luogo perché degli attacchi limitati non darebbero i risultati sperati; in secondo luogo una guerra avrebbe conseguenze catastrofiche sul piano mondiale considerate l’influenza e la posizione strategica dell’Iran. Non bisogna inoltre dimenticare la dispersione della forza militare occidentale su diversi scenari e la crisi economica globale: un conflitto rischia di affondare il sistema economico mondiale a causa della chiusura dello stretto di Hormuz. Le conseguenze sarebbero il blocco del Golfo Persico e una impennata nei prezzi del petrolio.
 
La visita “a sorpresa” di Obama in Iraq: democrazia e sviluppo economico
 
Tornando all’Iraq, il presidente americano ha ben organizzato il suo viaggio in Iraq e in Turchia. Le autorità irakene erano state avvertite sulla data della visita; l’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad aveva espresso il desiderio che Obama incontrasse le autorità ufficiali irakene e quelle della regione curda. Così, sono state approntate riunioni con il presidente Talabani, il primo ministro Nouri al Maliki e il presidente del Kurdistan Massoud Barzani il quale, per l’occasione, si è recato a Baghdad in compagnia del premier curdo.
 
Il presidente Obama ha espresso il suo impegno e il sostegno a favore della democrazia in Iraq e il rispetto della Costituzione irakena, stilata da un’assemblea eletta e approvata con un referendum nel quale hanno espresso parere favorevole più dell’80% dei votanti. I curdi chiedono che la costituzione sia applicata, in quanto essa prevede una larga autonomia per il Kurdistan, il ritorno all’amministrazione curda delle regioni arabizzate [al tempo di Saddam] e la fine delle conseguenze legate alla pulizia etnica contro i curdi, perpetrata da Baghdad tra il 1968 e il 2003.
 
Il presidente Obama sembra desideroso di salvaguardare i risultati ottenuti dagli Stati Uniti in Iraq: sviluppo economico, culturale e soprattutto vantaggi significativi nel campo delle libertà pubbliche. Il salario medio nel Paese era di tre dollari Usa al mese; dopo l’arrivo degli americani è salito a 900 dollari. Oggi vi sono più di 700 pubblicazioni rispetto alle otto – fra giornali e riviste – controllate dal regime ai tempi di Saddam Hussein. Abbiamo oltre 30 catene televisive rispetto alle tre presenti sotto Saddam. L’unico fattore incerto resta quello legato alla sicurezza, che ancora oggi appare fragile: una partenza affrettata delle truppe americane potrebbe seminare il caos in Iraq, a maggior ragione tenendo conto che il Paese non gode di un sostegno a livello regionale e vista la diversità delle componenti etniche e religiose dell’Iraq, nazione fra le più ricche al mondo per petrolio e gas naturali.
 
Iraq: ponte fra Occidente e Oriente, fattore decisivo per la stabilità nella regione
 
Il presidente Obama continuerà a dare una grande importanza all’Iraq, il quale occupa una posizione strategica fra i tre continenti del vecchio mondo e l’universo persiano, turco e arabo. La componente curda dell’Iraq, la rende vicina agli altri Paesi [che hanno minoranze curde]. Se l’Iraq, al cuore di un asse nel quale sono contenute l’80% delle riserve mondiali di idrocarburi, diventa una democrazia e rimane vicino all’Occidente, per gli Stati Uniti sarà un punto di forza negli anni a venire. L’Iraq è il solo che potrà ricoprire un ruolo importante e un’influenza in tutto il Medio oriente.
 
Gli altri alleati dell’America hanno un ruolo e un’influenza limitate. Perché Israele, pressoché isolata, non garantisce un contributo positivo per ridare agli Stati Uniti una immagine migliore; l’Arabia Saudita non ha un grosso peso specifico, perché il solo punto di forza sono i proventi legati al petrolio; l’Egitto è sempre più relegato ai margini, anche nel campo della diplomazia e della cultura. La Turchia, da parte sua, non può essere considerata il ponte fra Oriente e Occidente per il semplice fatto che cerca di non far più parte dell’Oriente, pur non potendo – per ragioni evidenti – essere considerata a pieno titolo una nazione occidentale. L’influenza di Ankara sul mondo arabo e l’Iran, oltretutto, è molto limitata.  
 
Multiculturalità: una risorsa per il nuovo Iraq
 
L’Iraq, a livello geografico, è al centro del Medio oriente; vi sono musulmani sciiti e sunniti, cristiani e fedeli di altre religioni. Esso è composto da arabi, curdi, assiri e caldei, turkmeni, armeni persiani… Al suo interno si sono creati legami religiosi, politici, etnici, economici con tutti i Paesi della regione. Dispone di una immensa ricchezza naturale e di un gran numero di esperti e specialisti in tutti i settori. Vi sono le basi per uno sviluppo stabile e duraturo, a condizione che vi sia un sostegno continuo dall’Occidente, insieme a norme costituzionali e una federazione basata sulla divisione equa e definitiva dei poteri tra le diverse componenti dell’Iraq. Una federazione nella quale ciascuna parte dispone di istituzioni proprie, con una pari divisione delle risorse e una ripartizione chiara dei poteri. È in questo senso che si indirizza il lavoro della amministrazione americana, quando si impegna a rispettare la volontà degli irakeni espressa nella Costituzione. La definizione dei diritti e dei doveri è essenziale per l’avvenire dell’intera regione.
 
* Saywan Barzani è rappresentante del governo curdo in Europa e nipote del presidente del Kurdistan irakeno.
TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Gli Usa chiedono “chiarimenti” sulla portaerei cinese
12/08/2011
La guerra turca ai curdi si combatte anche sui media: censura, arresti e siti oscurati
15/10/2019 09:14
L’esercito di Assad con i curdi per respingere l’offensiva turca. Cresce il pericolo Isis
14/10/2019 08:56
Il Consiglio ecumenico delle Chiese condanna l’offensiva turca contro i curdi
12/10/2019 09:04
I frutti dell'offensiva turca: 'Centinaia di curdi e cristiani siriani in fuga nel Kurdistan'
17/10/2019 11:24


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”