Nuovo vicario di Gerusalemme: giovani e scuola, futuro di pace e speranza
Mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo sottolinea l’importanza dell’istruzione per garantire l’avvenire delle nuove generazioni. La Chiesa segno di “unità” in un contesto “segnato dalle divisioni” e ponte nel dialogo fra le fedi. Dall’euforia per la pace alla rassegnazione per un conflitto permanente. Un appello ai cristiani d’Occidente: venite pellegrini in Terra Santa.
Gerusalemme (AsiaNews) - Essere “cittadini e cristiani” in Terra Santa come afferma il patriarca emerito Michel Sabbah non è solo un fatto “storico o geografico”, ma è una “scelta di vocazione e missione: Dio ci chiama a un cammino da compiere nella terra di Gesù”. Per questo è essenziale arginare l’esodo dal Medio oriente, garantendo alle persone, e in particolare ai giovani, mezzi e risorse per “vivere e affermarsi in ambito sociale e lavorativo”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, neo-vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina, ripercorrendo gli oltre 20 anni di servizio episcopale: prima come “vescovo” di Nazareth e oggi col nuovo incarico nella città simbolo delle tre grandi religioni monoteiste. Per raggiungere questo obiettivo, aggiunge il prelato, è “fondamentale il percorso scolastico, di base e universitario”.
“Da tempo il patriarcato latino - sottolinea mons. Marcuzzo - è impegnato in un lavoro pastorale mirante a favorire la presenza dei giovani. Vogliamo qualificare le nuove generazioni per la vita e il lavoro. Abbiamo promosso un progetto diocesano più ampio che coinvolge e abbraccia scuole e università, perché i giovani possano trovare un lavoro e costruirsi una casa, una famiglia, piantando le radici in questa terra. Raggiungere una qualifica è il punto di partenza di questo piano”.
A testimonianza del rinnovato legame fra i giovani e la Terra Santa, il vescovo ricorda quanto accaduto lo scorso anno in occasione della Giornata mondiale della gioventù (Gmg) a Cracovia, in Polonia. “Tutti i giovani [provenienti da Israele e Palestina] sono tornati a casa; di contro, molti di quelli che sono partiti da Libano e dall’Egitto, dalla Siria e dall’Iraq hanno preferito rimanere in Europa, dicendo che quello era un ‘paradiso’ e che non era possibile pensare di tornare ‘all’inferno’”.
Mons. Marcuzzo, 72 anni, è originario della diocesi di Vittorio Veneto, nel nord Italia; iniziati gli studi presso l’Istituto missionario Pio X a Oderzo, nel 1960 poco più che adolescente parte per la Palestina per concludere gli studi sacerdotali e l’apprendimento della lingua araba. Ordinato sacerdote nel 1969, nel 1993 viene nominato vescovo e un anno più tardi diventa ausiliare del Patriarcato di Gerusalemme con la sede titolare di Emmaus.
Da quel momento viene considerato il “vescovo di Nazareth”, città in cui risiede occupandosi della locale comunità cristiana. Il prelato è impegnato anche nella promozione del dialogo interreligioso e nella valorizzazione delle scuole cristiane di Terra Santa, sostenendo lui per primo la protesta contro le autorità di Israele per il taglio dei fondi e la “statalizzazione” degli istituti. In questi anni egli ha anche insegnato letteratura araba antica a giovani e studenti cristiani, ebrei e musulmani.
Oggi, 23 settembre, egli celebra la messa di commiato presso la Basilica dell’Annunciazione di Nazareth, nel contesto di una funzione che segnerà anche il passaggio di consegne al nuovo vicario patriarcale, p. Hanna Kildani. “Ho assunto un nuovo incarico - spiega mons. Marcuzzo - ma non di discosta di molto rispetto a quanto ho fatto sinora. È la stessa missione, il medesimo ministero, anche se a Gerusalemme diventa più ampio e delicato, con nuove sfide”.
Gerusalemme è il luogo in cui “tutto è condiviso: ebrei, cristiani, musulmani”, dove sorgono “i luoghi santi e dove si incontrano i pellegrini della Chiesa universale e locale. Un miscuglio di realtà e di sfide pastorali, un incarico ricchissimo e al contempo molto delicato, perché richiede accettazione e condivisione dell’altro”. Il piano pastorale resta quello tracciato negli anni ’90 dal Sinodo delle Chiese di Terra Santa e dalle indicazioni di papa Giovanni Paolo II nel Duemila: rendere il Concilio Vaticano II un fatto concreto, adattandolo alle peculiarità della Terra Santa”.
La Chiesa nella regione “vuole, deve e può” continuare a essere “un segno di unità, in un contesto difficile, segnato dalle divisioni”. “Un simbolo e un messaggio a Medio oriente - spiega il prelato - è stato quello di mantenere l’unità delle diocesi del Patriarcato latino, pur essendo suddiviso fra i territori di Palestina, Gerusalemme e Giordania”. “A questo - prosegue - si aggiunge il grande lavoro di comunione con tutte le Chiese, di cui abbiamo rispettato le particolarità liturgiche ma riunendo gli altri aspetti di pastorale, vocazioni, vita sociale, attenzione e ruolo della donna”.
In questo contesto viene rilanciato il valore del dialogo interreligioso con musulmani, ebrei e drusi: “Vogliamo essere un ponte - sottolinea - e un elemento di comunione con i nostri fratelli di fede diversa. Un dialogo che non deve essere astratto, con il pericolo di rifiutare la realtà, ma deve essere un confronto vero seguendo come dice san Paolo nella lettera agli Efesini l’esempio di Cristo che abbatte i muri che separano e costruisce una umanità nuova”.
Un compito ancor più importante oggi in cui la situazione nella regione è “più grave rispetto al passato”. Negli anni ’90 si viveva “una fase di euforia, in cui si pensava davvero a una pace duratura. Poi è subentrata la delusione, la rassegnazione acuita da una serie di eventi negativi su entrambi i fronti, israeliano e palestinese. Noi cristiani, Chiesa di Terra Santa, vogliamo promuovere un lavoro di incoraggiamento, di speranza, di fiducia e apertura nonostante le delusioni. Credere nella fratellanza e nella riconciliazione è possibile, anche se non se ne vedono le premesse”.
Infine, mons. Marcuzzo vuole lanciare attraverso AsiaNews un appello ai fedeli di tutto il mondo, ma in particolare ai cristiani dell’Europa e dell’Occidente: “Venite come pellegrini in Terra Santa. Non abbiate paura, perché non vi sono rischi né pericoli”. “Registriamo la presenza di molti cristiani dell’Asia, fra cui cinesi, filippini, coreani, malaysiani, indonesiani, ma persiste il crollo delle visite dall’Europa. Noi del patriarcato - conclude - siamo felici di accogliere i pellegrini e di parlare loro della nostra Chiesa di Gerusalemme”.(DS)