Nuove tensioni anche tra Kirhizistan e Tagikistan
Come in un effetto domino delle rivendicazioni russe sulla Crimea, oltre al Nagorno Karabach anche in altri luoghi rimasti in sospeso dai tempi del regime sovietico si riaccendono le divergenze sulle frontiere. La minaccia del Kirghizistan al Tagikistan: "se non rinuncerete alle vostre pretese riveleremo documenti scottanti appena ritrovati".
Biškek (AsiaNews) - Sullo sfondo della guerra senza fine tra Russia e Ucraina, e del nuovo capitolo dello scontro tra azeri e armeni sul Nagorno Karabakh, anche il Kirghizistan e il Tagikistan rilanciano le proprie divergenze sulle questioni di frontiera, un altro problema aperto rimasto dalla fase post-imperiale sovietica. In questo caso, l’occasione è data dalle dichiarazioni del presidente dei servizi di sicurezza del Gknb di Biškek, Kamčybek Tašiev, secondo il quale se il Tagikistan non rinuncerà alle proprie pretese, i kirghisi potrebbero avvalersi di documenti scottanti appena ritrovati.
Rispondendo alle domande dei giornalisti, Tašiev ha detto che le autorità di Biškek hanno trovato dei testi che riguardano proprio la tanto contesa questione delle frontiere, sulla base dei quali si può dimostrare che molte terre kirghise sono state assegnate in maniera irregolare al Paese confinante. Secondo le sue parole, “il nostro vicino continua ad avanzare pretese territoriali nei confronti del Kirghizistan, ma noi sappiamo che non ne ha diritto… nei documenti appare chiaro che molti nostri terreni sono stati assegnati illegalmente al Tagikistan, e lo possiamo dimostrare”.
Se Dušanbe non rinuncerà alle proprie pretese, continua Tašiev, “noi dimostreremo le nostre ragioni a livello storico e giuridico, e potremo far presente le nostre aspirazioni, che non si potranno confutare”. Il rappresentante speciale del governo kirghiso per le questioni di delimitazione e ridefinizione delle frontiere, Nazyrbek Borubaev, ha confermato le parole di Tašiev, ribadendo che i documenti di cui si parla sono codificati negli archivi di Stato. Non si capisce, in realtà, di quali territori si stia effettivamente parlando.
Le autorità di Dušanbe hanno inizialmente snobbato le dichiarazioni di Tašiev, e in passato i tagichi hanno a loro volta accusato i vicini di aver messo le mani sulle proprie terre. Un anno fa, il vice-capo del ministero degli esteri del Tagikistan, Sodik Imomi, aveva voluto tenere una presentazione davanti agli ambasciatori occidentali a Dušanbe, per dimostrare invece che la città di Vorukh non era mai stata “un’enclave kirghisa”, e tutte le strade che la raggiungono sono sotto il controllo dei tagiki, che la considerano “un proprio territorio”.
La frontiera del Tagikistan con il Kirghizistan si estende per 972 chilometri, e le diatribe per la sua demarcazione vanno avanti dal 2002. Finora gli accordi fra le due repubbliche hanno raggiunto 664 chilometri, ma ne rimangono da definire ancora più di 300, e gli scontri tra soldati e popolazioni locali non sembrano arrivare alla fine, con tanto di vittime.
Il ministero degli esteri di Dušanbe ha comunque convocato l’ambasciatore kirghiso, Erlan Abdyldaev, dopo le dichiarazioni di Tašiev, rilasciando un comunicato per cui “dopo lo scambio di opinioni, si è fatto presente che tali dichiarazioni possono arrecare un danno ingente al processo di trattative per la definizione delle frontiere, e in generale alla fiducia reciproca”. Tašiev sovrintende anche alla commissione per la demarcazione dei confini, e insiste nel proclamare che “noi abbiamo le forze e le possibilità per far valere le nostre ragioni”.
Il rappresentante speciale governativo kirghiso Nazyrbek Borubaev ha confermato il ritrovamento dei documenti sbandierati da Tašiev, ma anch’egli non ha voluto precisare di quali effettivamente si tratti, per “non creare ulteriori ostacoli nel periodo delle trattative ufficiali”. Finora era sempre stato il Tagikistan a rivendicare terre proprie occupate dai kirghisi, che oggi cercano di capovolgere le accuse a proprio favore. Le continue pretese reciproche, anche nella fase delle trattative in corso, potrebbero riproporre uno scenario già tristemente noto per l’Ucraina e la Crimea, ora anche per altri luoghi rimasti in sospeso dai tempi del divide et impera del regime sovietico.
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