Nuove proteste a Urumqi e in altre città dello Xinjiang
Urumqi (AsiaNews/Agenzie) – Diverse centinaia di persone, in maggioranza donne e ragazze, stanno sfidando i cordoni di polizia nelle strade di Urumqi: protestano contro la repressione cinese e chiedono il rilascio dei loro parenti, arrestati dopo le rivolte del 5 luglio.
L’agenzia Xinhua aggiorna stamane il numero delle vittime e degli arresti: negli scontri con la polizia vi sono stati 156 morti e 1434 arresti. Il governo cinese continua a scaricare la responsabilità delle violenze sui manifestanti, ma la popolazione accusa la polizia di aver sparato su gente indifesa.
Intanto le manifestazioni si sono diffuse ieri anche in altre città dello Xinjiang. A Kashgar più di 200 persone hanno tentato di radunarsi nella moschea di Id Kah, ma sono stati dispersi dalla polizia. Le forze dell’ordine hanno fatto arresti anche a Yili, Dawan e Tianshan.
A Urumqi, le donne e le ragazze che chiedono la liberazione dei loro cari, hanno sfidato il controllo sulla città e sulle strade garantito da carri armati e schiere di poliziotti in tenuta mimetica. Gridano “Ridateci la libertà! Ridateci i nostri uomini!”. La dimostrazione è stata testimoniata da un gruppo di giornalisti stranieri che venivano condotti in un tour organizzato dal governo per far vedere le distruzioni causate dai dimostranti di due giorni fa.
La polizia le ha circondate e poi le ha disperse. Ma altri gruppi di manifestanti si stanno radunando nel centro città.
Decine di migliaia di poliziotti e soldati sono stati ingaggiati per mantenere il controllo della situazione e per procedere a una serie indiscriminata di arresti e distruzioni.
Pechino continua ad accusare i gruppi uiguri all’estero di aver organizzato e fomentato le rivolte. Ma gli stessi gruppi negano ogni influenza e accusano la Cina di aver fatto degenerare delle manifestazioni non violente in una carneficina.
Amnesty International (AI) ha chiesto al governo cinese un’inchiesta sulle morti e la violenza a Urumqi e domanda alla comunità internazionale di fare pressione su Pechino perché rispetti i diritti umani.
“Al di là delle violenze immediate – afferma AI - vi sono larghe violazioni sistematiche dei diritti umani, inflitte agli uiguri” fin dagli anni ’80.
Da decenni la Cina sta colonizzando lo Xinjiang, ricco di petrolio e gas, importando molti cinesi di razza han, divenuti ormai la maggioranza nella regione e i detentori del potere politico e d economico. Per giustificare il pugno di ferro Pechino accusa gli uiguri di sogni indipendentisti e attacchi terroristi.
Rebiya Kadeer, l’esule uiguri che la Cina accusa di essere dietro tutte le sommosse, parlando a Washington ha detto ieri che le violenze nello Xinjiang “rivelano profondi, seri problemi che il governo cinese non ha voluto affrontare o mitigare”.