Nunzio a Damasco: Ammirevole lo sforzo del papa sulla Siria. Per la pace serve un miracolo
Mons. Zenari plaude alle parole del pontefice, che ha chiesto una “soluzione politica” al conflitto. Per il prelato la popolazione deve poter vedere non solo parole, ma “passi concreti” verso il cessate il fuoco. Ora servirebbe un miracolo, come “l’accordo sulle armi chimiche”. Dai Paesi del Golfo pressioni per un intervento di terra. L’esercito siriano avanza verso nord.
Damasco (AsiaNews) - Il messaggio di papa Francesco "è da incensare, è ammirevole, lodevole, come sempre mostra la sua attenzione e il suo amore per il popolo siriano, per le sofferenze di questa povera gente”. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, ricordando il dramma di intere “colonne di persone in fuga". Ieri al termine dell’Angelus il pontefice ha chiesto una “soluzione politica” per fermare la guerra in Siria, auspicando inoltre “l’aiuto necessario” alla popolazione civile “per assicurare loro sopravvivenza e dignità”. “Sono cose che toccano il cuore - ha affermano il rappresentante vaticano - e il papa ha fatto bene a richiamare i fedeli alla solidarietà. Un pensiero importante per le persone che soffrono, per i civili”.
Per mons. Zenari “bisogna trovare una soluzione, riprendere i colloqui” anche se i negoziati indiretti iniziati la scorsa settimana hanno subito una brusca interruzione dopo due soli giorni. Il prelato richiama le parole dell’inviato speciale Onu per la Siria Staffan de Mistura, secondo cui “i siriani hanno bisogno di vedere che si parla, ma hanno anche bisogno di qualche passo concreto, non solo parole. E soprattutto che sul terreno le cose migliorino”.
Oggi, invece, si registra una interruzione dei colloqui di pace e un peggioramento progressivo della situazione sul terreno. “Siamo a un punto critico, il conflitto è in evoluzione. L’unico passo positivo in questi anni - osserva il nunzio apostolico - è la vicenda delle armi chimiche. Il suo smantellamento è stato un grande risultato, un miracolo come mi piace chiamarlo. Pensate a cosa sarebbe successo, se quelle armi fossero rimaste nel Paese”. Quell’accordo, conclude il prelato, “mostra che se c’è la buona volontà, unione, convergenza di interesse fra i Paesi che possono influire, si possono raggiungere questi risultati. Ma servono sincerità e buona volontà”.
La guerra in Siria, divampata nel marzo 2011 come moto di protesta popolare contro il presidente Bashar al-Assad, trasformata nel tempo in conflitto diffuso con derive estremiste islamiche e movimenti jihadisti, ha causato oltre 260mila morti. Essa ha inoltre originato una delle più gravi crisi umanitarie della storia, costringendo 4,6 milioni di siriani a cercare riparo all’esterno, soprattutto in Giordania, Libano, Turchia, Iraq ed Egitto. Altre centinaia di migliaia hanno provato a raggiungere l’Europa, pagando a volte al prezzo della vita la traversata del Mediterraneo.
A dispetto degli appelli e dei tentativi di trovare una via diplomatica, peraltro sinora falliti, per risolvere il conflitto, sembrano rafforzarsi i venti di guerra nel Paese e nella regione. La Russia, alleato del governo siriano assieme a Teheran, ha accusato la Turchia - vicina all’opposizione, con Arabia Saudita e Qatar - di preparare una “invasione armata”; Ankara ha smentito, ma la tensione fra le varie potenze resta alta e non aiuta al raggiungimento di un cessate il fuoco.
Ieri il ministro deli Esteri degli Emirati Arabi Uniti (Eau) si è detto favorevole a una campagna militare di terra in Siria, guidata dagli Stati Uniti. “Una vera campagna contro Daesh [acronimo arabo dello Stato islamico, SI] deve prevedere - ha dichiarato Anwar Gargash - elementi di terra”. Egli precisa che “non si sta parlando di migliaia di truppe”, quanto piuttosto “di un gruppo che apra la strada”. E, avverte, “una leadership americana in questo senso è un prerequisito”.
Una posizione, quella sull’intervento militare di terra, già avanzata nei giorni scorsi dall’Arabia Saudita che chiede di rafforzare la campagna contro lo SI sullo scacchiere siriano. Frasi che hanno incontrato l’apprezzamento di Washington, ma respinta al mittente dalla leadership di Damasco, dal presidente siriano Bashar al Assad e gli alleati iraniani.
Intanto sul terreno continua l’avanzata delle truppe governative verso la cittadina di Tal Rifaat, a soli 20 km dal confine turco; nella zona avevano trovato riparo i siriani in fuga dai combattimenti che infuriano in queste settimane attorno ad Aleppo. Tal Rifaat è una delle ultime roccaforti dei ribelli nella provincia settentrionale e una sua conquista rappresenterebbe una svolta per il governo di Damasco. Intanto oltreconfine gruppi di attivisti turchi stanno preparando tende e scorte di cibo e aiuti da distribuire alle migliaia di nuovi profughi - secondo alcune fonti almeno 35mila - dalla Siria attesi per i prossimi giorni. (DS)