Nonostante la guerra Israele demolisce le case dei beduini, le altre vittime di Hamas
Circa 50 abitazioni in un villaggio del Negev sono state rase al suolo, lasciando centinaia di persone di una famiglia senza un tetto in una delle distruzioni più massicce degli ultimi anni. Per Ben Gvir sono “illegali” e giudica l’abbattimento “un passo importante”. La protesta della comunità che denuncia: “Abbiamo cercato una soluzione per anni, inutilmente”.
Gerusalemme (AsiaNews) - Una demolizione di massa di decine di case, una fra le più imponenti attuate dal governo israeliano negli ultimi anni. Obiettivo del raid di ieri delle forze di sicurezza almeno 50 abitazioni appartenenti alla comunità beduina nel deserto del Negev, che il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir - in prima fila nel sostenere colonie e avamposti nei Territori occupati - ha bollato come “illegali”. I bulldozer hanno completamente raso al suolo gli edifici nel villaggio di Wadi al-Khalil, scatenando sentimenti alterni di ira e frustrazione tra i membri di una comunità composta da circa 500 persone.
Fra quanti hanno visto le proprie case demolite vi sono anche famiglie che hanno al loro interno parenti morti nell’attacco terrorista di Hamas del 7 ottobre scorso contro Israele e che ha innescato la sanguinosa guerra a Gaza. Inoltre, l’unica ferita grave legata (Amina al-Hasoni, una bambina di soli 7 anni) alla pioggia di missili e droni scagliata dall’Iran contro lo Stato ebraico il mese scorso apparteneva proprio alla comunità beduina, sebbene governi e media internazionali abbiano archiviato in fretta la vicenda. Una conferma ulteriore della divisione fra cittadini di prima e seconda classe nel Paese, e che portano i membri della comunità beduina - così come i migranti dall’Asia - a essere considerati “vittime nascoste” (e dimenticate) del devastante conflitto che si sta consumando in Medio oriente.
Le demolizioni hanno riguardato le case dei membri di un’unica famiglia, quella degli Abu Asa, lasciando centinaia di persone senza un tetto sotto il quale vivere. Le autorità israeliane hanno abbattuto le abitazioni col pretesto che le strutture non avevano i permessi di costruzione adeguati, che sono peraltro concesse molto di rado ai beduini palestinesi nel deserto del Negev, noti come Naqab in arabo. Diversi membri hanno deciso di bruciare le proprie case prima dell’abbattimento, invece di rassegnarsi ad assistere inermi alla loro distruzione da parte dei cingolati israeliani; inoltre, un membro della comunità identificato col nome di Ahmed Abu Asa, è stato arrestato dopo aver cercato di ostacolare i bulldozer.
Kayed Abu Latif, un agricoltore ed esperto di agronomia, ha affermato che l’ordine di demolizione è stato “sorprendente”, soprattutto considerando che i cittadini palestinesi della zona avevano aiutato gli israeliani durante l’attacco di Hamas nel sud di Israele a ottobre. “Ci sono più di 500 persone qui. (Ora) i bambini e le donne non hanno un altro posto dove andare” aggiunge residente Sleiman Abu Asa. “Stanno demolendo le nostre case, lasciandoci fuori” accusa, mentre osserva la polizia schierata in assetto anti-sommossa intenta a monitorare l’operazione. “Non ci meritiamo questo. Abbiamo cercato una soluzione per anni, sperando in una risoluzione equa, ma lo Stato - conclude - ha ostacolato tutte le nostre opzioni”.
Il ministro della destra radicale Itamar Ben Gvir, lo stesso che alimenta l’espansionismo dei coloni israeliani in terre palestinesi, in un messaggio sui social ha ricordato che Israele considera “illegali” le case costruite a Wadi al-Khalil. Egli ha inoltre minacciato di rinchiudere in galera chiunque “violi la legge nel deserto del Negev”. La distruzione, ha proseguito, è “un passo importante” che indica che l’autorità del governo non sarà messa in discussione. “La polizia - ha concluso Ben Gvir - combatterà chiunque sequestri la terra e cerchi di costruire un’altra realtà sul terreno”.
Prima della creazione di Israele nel 1948, il deserto del Negev ospitava circa 92mila beduini ma solo 11mila sono rimasti nei confini di Israele dopo la guerra arabo-israeliana del 1948; molti vivono in villaggi non riconosciuti, privi di pianificazione e servizi base come acqua corrente, fogne ed elettricità. In pochissimi hanno accesso a rifugi anti-aereo o missile, e la gran parte rifiuta di essere re-insediata e per questo incontra grandi difficoltà nella società israeliana. Oggi sono circa 300mila, metà dei quali vivono in città e metà in villaggi non riconosciuti da Israele. Secondo l’attivista arabo israeliano Taleb el-Sana ieri “donne e bambini sono rimasti senza casa” e “un intero villaggio è stato spazzato via solo perché i suoi abitanti sono arabi” con il “pretesto” di una “costruzione senza licenza”. Egli aggiunge che Israele “non permette ai cittadini (beduini) di ottenere permessi di costruzione e poi ‘demolisce le loro case con il pretesto della mancanza di permessi”. “Non ci meritiamo questo” conclude Abu Asa.