Non solo Naval’nyj. Le torture nei lager russi
Basta osservare le durissime misure di detenzione, la mancata assistenza medica e le sempre più frequenti e ingiustificate misure di punizione e di isolamento, per comprendere come la salute e la vita stessa dei condannati sia oggi esposta a rischi. I timori per la sorte di Vladimir Kara-Murza e Ilja Jašin.
Mosca (AsiaNews) - Il caso della morte di Aleksej Naval’nyj in un lager non è purtroppo un evento isolato, pur esprimendo una contrapposizione al potere di Vladimir Putin senza paragoni. Il numero delle persone rinchiuse per dissenso politico, e per le proprie convinzioni religiose, continua a crescere in Russia in modo esponenziale soprattutto dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, e molti di questi perseguitati per le proprie idee vengono sottoposti a prove e torture sempre più disumane, come evidenziano molte inchieste sui media russi e internazionali, e le denunce degli attivisti per i diritti umani.
Al di là delle ricostruzioni medico-legali - che nel caso di Naval’nyj non sono state rese accessibili e ormai non potranno più fornire alcun risultato, essendo il corpo del grande oppositore sepolto nella fossa del cimitero moscovita di Borisovo - è evidente che il regime putiniano usa sempre più le condizioni estreme della carcerazione e del lager come strumento di pressione. Anche senza la dimostrazione di azioni criminose come l’avvelenamento o la violenza omicida, come il “pugno al cuore” che avrebbe stroncato l’ancor giovane leader del movimento russo di protesta, basta osservare le durissime misure di detenzione, la mancata assistenza medica e le sempre più frequenti e ingiustificate misure di punizione e di isolamento, per comprendere come la salute e la vita stessa dei condannati sia oggi esposta a rischi sempre più simili alle torture dei tempi passati.
Il 16 febbraio l’amministrazione penitenziaria del distretto Jamalo-Nenetskij, dove è situato il lager di Kharp, ha annunciato che la passeggiata di Naval’nyj nell’ora d’aria e di gelo è stata interrotta dalla “sindrome della morte improvvisa”, e pochi minuti dopo il canale televisivo RT ha precisato che si era trattato del “distacco di un trombo”, basandosi su fonti ignote. Il “trombo” è in realtà un classico delle prigioni russe fin dai tempi sovietici, “una diagnosi universale per spiegare qualunque tipo di evento traumatico”, ricorda su Telegram l’attivista Anna Karetnikova, che aveva lavorato a suo tempo nel sistema carcerario.
Naval’nyj è morto dopo tre anni di reclusione in condizioni estreme, duranti i quali ha trascorso 300 giorni in cella d’isolamento per futili pretesti. Gli è stata negata più volte l’assistenza medica, si è lamentato di essere stato privato del sonno con luci e suoni ad alto volume, compresi i discorsi di Putin sparati dagli altoparlanti giorno e notte. I tribunali russi hanno respinto oltre 40 ricorsi da lui presentati per le violenze subite. Condizioni simili vengono applicate a molti altri prigionieri di coscienza in Russia.
Come osserva in un’intervista ad Azattyk Sergej Babinets, capo del gruppo di difesa dei diritti umani “Squadra anti-violenza”, “la pratica di punizioni disciplinari assume forme sempre più diversificate, e diventa evidente osservando diversi casi recenti come quello di Viktor Filinkov [condannato nel 2020 per terrorismo senza alcun fondamento], che ormai si applicano misure rigide anche solo per un sorriso nel momento e alla persona sbagliata”.
Anche i più noti oppositori al regime putiniano insieme a Naval’nyj, come i politici Vladimir Kara-Murza (condannato a 25 anni, e due volte avvelenato) e Ilja Jašin (“solo” 9 anni, per ora) vengono regolarmente sbattuti in cella di punizione per minime violazioni al regolamento, e molti si preoccupano per la loro sorte, essendo figure di riferimento che come Naval’nyj si sono rifiutate di fuggire, anzi sono ritornate da viaggi all’estero ben sapendo a che cosa sarebbero andati incontro. La moglie di Kara-Murza, Evgenija, denuncia che “queste sono le condizioni a cui vengono sottoposti tutti coloro che si rifiutano di tacere”. Jašin dal lager fa sapere che “c’è un vantaggio nello Šizo [la cella d’isolamento], anche se tocca vivere in mezzo ai topi: non hai più paura di finire nello Šizo, perché ci sei già dentro”.
Molti altri sono destinati ad aggiungersi nei prossimi giorni alla lista dei torturati nelle carceri e nei lager russi, tra coloro che sfidando il potere si sono recati e continuano a recarsi a onorare la tomba di Naval’nyj, ripresi dalle telecamere della polizia. Finora ne sono stati arrestati circa duecento, ma saranno presto molti di più, tanto che il governo sta progettando l’apertura di nuovi lager sempre più grandi. Grandi come la Russia intera.
Foto: i fiori sulla tomba di Aleksej Naval'nyj (immagine diffusa dal Team Naval'nyj)
16/08/2022 08:32
09/03/2024 09:00