Non si ferma il boia saudita: migrante indonesiano decapitato per (presunto) omicidio
Eseguita la condanna a morte del 53enne Zaini Misrin. Egli era accusato di aver ucciso nel 2004 il proprio datore di lavoro. Durante il processo, negato il diritto alla difesa e la confessione è stata estorta con l’inganno. Dall’ascesa al potere di Mohammed bin Salman raddoppiato il numero delle esecuzioni.
Riyadh (AsiaNews) - Il boia saudita è tornato a colpire, decapitando un lavoratore immigrato indonesiano per un omicidio che l’uomo avrebbe compiuto nell’estate del 2004. Attivisti e organizzazioni pro diritti umani lamentano la mancata tutela dei diritti dell’imputato, che non ha goduto di assistenza legale e la cui confessione sarebbe stata estorta con l’inganno durante il processo. Inoltre, le autorità avrebbero fornito il proprio assenso all’esecuzione senza avvisare i vertici del governo di Jakarta i quali, attraverso il presidente Joko “Jokowi” Widodo avevano lanciato appelli alla clemenza.
Secondo quanto riferisce l’ong Migrant Care, che si occupa della condizione dei lavoratori indonesiani nel mondo, Zaini Misrin - di professione autista di auto - è stato giustiziato mediante decapitazione il 18 marzo. L’uomo, di 53 anni, era stato arrestato nel 2008 per l’assassinio - avvenuto quattro anni prima - del proprio datore di lavoro.
Nel corso del processo l’imputato avrebbe subito pressioni; i giudici gli avrebbero estratto a forza la confessione, privandolo di assistenza legale e fornendogli solo un traduttore in aula. Testimoni riferiscono che sarebbe stato proprio l’interprete a estrarre la (presunta) confessione con l’inganno, a fronte di un crimine che egli non avrebbe commesso.
Inoltre, l’Arabia Saudita non ha notificato all’Indonesia l’imminente esecuzione lasciando all’oscuro della vicenda sia il ministero degli Esteri che il consolato indonesiano a Jeddah. “Il processo a Mistrin e la sua esecuzione - sottolinea in una nota il direttore di Migrant Care Wahyu Susilo - rappresentano una palese violazione ai diritti umani”. Egli avrebbe inoltre subito “pressioni e intimidazioni” dalle autorità saudite.
In questi anni il presidente indonesiano Widodo ha lanciato a più riprese appelli per l’estradizione dell’uomo. La sua vicenda sarebbe emersa anche durante l’incontro del 2015 fra il capo di Stato indonesiano e re Salman, durante la visita del monarca nel Paese asiatico. Tuttavia, i ripetuti appelli sono rimasti inascoltati.
Un rapporto elaborato da alcuni esperti dell’Afp mostra che, dall’inizio dell’anno, l’Arabia Saudita ha giustiziato almeno 30 immigrati di diverse nazionalità. E dall’ascesa al potere del principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs) le esecuzioni sono più raddoppiate: dalla sua nomina nel giugno scorso il boia ha colpito in almeno 133 occasioni, rispetto alle 67 degli otto mesi precedenti.
Da anni le associazioni per i diritti umani e molti governi occidentali si battono per imporre al regno saudita (sunnita wahhabita) processi equi ed esecuzioni meno crudeli. L’Arabia Saudita – in cui vige una stretta osservanza della sharia, la legge islamica - è l’unico Paese al mondo dove la condanna a morte può essere eseguita con la decapitazione in pubblica piazza.
La pena capitale nel regno è prevista per i colpevoli di omicidio, rapina a mano armata, stupro e traffico di droga, ma anche per stregoneria e sodomia. Non meno crudeli sono le condanne per crimini minori, come il furto e il reato di opinione, che oltre al carcere, prevedono il taglio della mano o del piede e la fustigazione in piazza.
In passato il numero delle esecuzioni era così elevato da far emergere una “carenza” di boia.
03/10/2017 08:54
01/02/2023 12:24