06/10/2023, 12.53
IRAN - NORVEGIA
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Nobel per la pace a Narges Mohammadi, voce dal carcere pro diritti e libertà

Il riconoscimento assegnato oggi dall’Accademia di Oslo, che ne chiede la scarcerazione perché possa ritirarlo di persona. Il comitato ricorda che Teheran “l’ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate”. Nel novembre 2022 una nuova sentenza a 10 anni di prigione in un processo farsa. Per la famiglia un “momento storico”. 

Teheran (AsiaNews) - Un premio che celebra l’impegno, anche dal carcere, per i diritti delle donne nella Repubblica islamica, per la difesa delle libertà personali, per la battaglia contro l’oppressione e l’oscurantismo tornati di stretta attualità nell’ultimo anno per la vicenda di Mahsa Amini. Sono alcuni fra i motivi che hanno spinto l’Accademia di Oslo a conferire oggi il Nobel per la pace alla 51enne attivista iraniana Narges Mohammadi, vice-presidente del Centro per i difensori dei diritti umani in Iran (Dhrc). La giornalista e dissidente, che da anni si batte anche contro la pena di morte, è tuttora rinchiusa nella famigerata prigione di Evin, alla periferia di Teheran, dove sta scontando una nuova condanna a 10 anni. Come spiega il comitato norvegese, l’onorificenza è stata assegnata fra 305 candidature, di cui un terzo sono organizzazioni e altre duecento circa sono persone.

Narges Mohammadi, giornalista e attivista di lungo corso, era già stata arrestata nel maggio 2015 e, dalla prigione, aveva sottoscritto una campagna referendaria per la fine della teocrazia nella Repubblica islamica. Nella prima fase della pandemia la sua salute aveva destato più di un allarme per aver contratto il Covid-19 in prigione, a fronte di un quadro clinico e di salute precario. Tuttavia, pur non avendo ricevuto particolari cure mediche - come denunciato dai familiari - è riuscita a superare il virus e guarire senza gravi conseguenze. 

Proprio in questi giorni, nell’ottobre di tre anni fa, l’attivista all’epoca 48enne era stata scarcerata e, lasciando la cella, si era “augurata la liberazione per tutti i prigionieri” politici e di coscienza. Una libertà di breve durata perché nel novembre dello scorso anno era stata fermata di nuovo e imprigionata, per aver partecipato a una commemorazione per le vittime della violenta repressione delle manifestazioni di piazza del 2019. Alla sbarra in un processo farsa durato solo poche ore, Narges Mohammadi è stata condannata ad altri 10 anni di galera. 

Sposata con Taghi Rahmani (esiliato in Francia e definito da Reporter senza frontiere “il giornalista più spesso incarcerato” al mondo), madre di due figli, fin dai tempi dell’università si è battuta per i diritti e la democrazia. La donna era stata condannata una prima volta a 10 anni di prigione per aver “formato e guidato un gruppo illegale”, promosso campagne “contro la pena di morte” e “cospirazione per attentare alla sicurezza del Paese”. Nel febbraio 2020, in un messaggio lanciato dalla propria cella e diffuso dal marito sulla pagina Facebook, in occasione delle elezioni parlamentari aveva affermato che il boicottaggio è il “solo modo pacifico” per esprimere il dissenso, dato che le manifestazioni non sono più autorizzate.

Fra i riconoscimenti ricevuti per la sua opera nel campo dei diritti troviamo il premio Alexander Langer 2009, conferito per aver preso “scelte coraggiose”, mostrato “indipendenza di pensiero e forte radicamento a livello sociale”. Reporter senza frontiere (Rfs9 ricorda che Narges Mohammadi ha sofferto di embolia polmonare e di un disturbo neurologico che ne hanno minato il fisico nel profondo. In passato a suo favore era intervenuta anche l’allora Alto commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet, che si era appellata alle autorità di Teheran per il “rilascio immediato” di tutti i prigionieri politici esclusi dal provvedimento “svuota-carceri” in tempo di pandemia.

Commentando il premio la famiglia parla di “momento storico e profondo nella lotta per le libertà in Iran”, tuttavia si dice dispiaciuta perché non può condividere con lei questo “momento straordinario”. Nella nota diffusa sulla pagina social dell’attivista, che gestiscono a suo nome, i parenti rivolgono un pensiero a tutti i cittadini iraniani, in special modo “donne e ragazze che hanno affascinato il mondo col loro coraggio nella lotta per la libertà e l’uguaglianza”. 

Studi in fisica e laurea in ingegneria, Narges Mohammadi è la seconda iraniana a ricevere il Nobel per la Pace dopo Shirin Ebadi nel 2003, di cui è stata collaboratrice al Defenders of Human Rights Center fondato dalla stessa Ebadi nel 2001. Fra gli incarichi ricoperti vi sono anche quelli di portavoce e vice-presidente del Centro iraniano per la difesa dei diritti umani e di presidente del comitato esecutivo del Consiglio Nazionale della pace dal 2008.

Per la sua lotta ha pagato con il carcere, la tortura e la separazione dalla famiglia a partire dal marito che non vede da otto anni. Il comitato prosegue ricordando che Teheran “l’ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate” ma questo non ha scalfito la sua “coraggiosa lotta contro la pena di morte”. Oggi assegnandole il premio ne chiede la liberazione perché possa ritirarlo di persona, sottolineando come anche nell’ultimo periodo non abbia rinunciato a far sentire la propria voce nell’ambito della campagna “Women, Life, Freedom” legata all’uccisione della Amini.

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