Nepal, sopravvissuti al sisma costretti a bere acqua contaminata: "Solo i cristiani ci aiutano"
Kathmandu (AsiaNews) – Nel villaggio nepalese di Singati (distretto di Dolhaka) la popolazione non ha più acqua potabile da bere. Krishna Tamang, un sopravvissuto al terremoto, racconta: “Circa il 50 per cento delle case erano rimaste in piedi dopo il sisma del 25 aprile, ma quello del 12 maggio le ha tutte rase al suolo. Noi residenti abbiamo tirato fuori dalle macere almeno 150 corpi senza vita. Nel villaggio c’è odore di decomposizione. Non abbiamo acqua pulita e siamo costretti a bere quella che si mischia alle carcasse di persone e animali morti”. In questa devastazione “solo alcune organizzazioni filantropiche e associazioni cristiane ci hanno raggiunto e portato materiale d’emergenza e cibo, ma fino a oggi [ieri, ndr] il governo non si è mai visto”.
A quasi un mese dal terremoto che ha devastato il Nepal, la situazione è ancora lontana dal tornare alla normalità. A oggi il bilancio delle vittime è salito a 8.567 morti, oltre 18mila feriti e decine di persone che hanno subito mutilazioni permanenti. Come testimoniano analisti e gli stessi sopravvissuti, Chiesa cattolica, Caritas da tutto il mondo e associazioni cristiane straniere e locali sono le uniche ad aiutare chi è ancora bloccato nelle aree più remote e a rischio.
Le chiese cattoliche del Paese – inclusa la cattedrale dell’Assunzione a Lalitpur (Kathmandu), la chiesa di Baniyatar e quella di Godavari – sono in pieno servizio. Oltre a raccogliere fondi per i sopravvissuti, organizzano squadre di volontari per prestare soccorso e distribuire aiuti.
Celebrando ieri la messa p. Bijaya Toppo, sacerdote cattolico, ha detto: “Tutto noi dovremmo offrire aiuto umanitario alle vittime del terremoto, secondo le nostre capacità. Siamo cattolici e diversi da altri, perché il nostro servizio non è discriminatorio: testimoniamo la presenza di Gesù con la preghiera e con il lavoro”.
P. Ignatius Rai, parroco della cattedrale dell’Assunzione a Kathmandu, spiega: “La Chiesa e le organizzazioni cattoliche stanno lavorando nei distretti più colpiti, come Gorkha, Nuwakot, Dhading, Dolakha, Sindhupalchowk e Okhaldhunga. Facciamo del nostro meglio, ma le nostre risorse sono limitate e i nostri soli sforzi non sono sufficienti per aiutare la popolazione”.
Analisti ed esperti affermano che i partiti politici sono divisi e il governo non è in grado di fornire aiuti alle vittime. “I partiti – sottolinea l’analista Khagendra Sangraula – non dovrebbero fare i loro interessi in questa crisi nazionale. Tuttavia, possiamo osservare alcuni abusi: per esempio i partiti di maggioranza non forniscono aiuti a chi non fa parte delle loro formazioni. Ma lo stesso accade tra l’opposizione. È una grave discriminazione”.
Il professore Kapil Shrestha racconta: “Ho sentito molte persone dire che le organizzazioni cristiane e internazionali sono state rapide e oneste nel distribuire aiuti, al contrario del governo. L’esecutivo ha molti materiali di soccorso, ma la maggior parte è bloccata ancora negli uffici aeroportuali o di confine. È triste vedere i nostri governanti discutere su dove mandare gli aiuti, mentre la popolazione lotta per sopravvivere”.
A Roma per partecipare all’Assemblea generale di Caritas Internationalis, P. Pius Perumana, direttore esecutivo di Caritas Nepal, prova a spiegare ad AsiaNews come funziona il rapporto tra governo e associazioni in caso di emergenza: “Sono anni che la Caritas collabora col governo e non ci sono mai stati problemi”. “Non è esatto – sottolinea – dire che il governo ha chiesto di andarsene a tutti quelli che aiutano. Molti Paesi hanno mandato soldati e squadre di soccorso anche senza l’approvazione del governo nepalese”.
Il direttore della Caritas spiega: “Ogni volta che si verifica un disastro, la Croce Rossa ha il comando delle operazioni e tutti devono seguire le sue direttive. Tutti gli enti del Paese, disseminati nei distretti, devono collaborare centralmente”. “Spesso però – prosegue p. Pius – gli enti stranieri non capiscono questa complessità, vengono con buone intenzioni ma non conoscono la lingua, le situazioni locali e il funzionamento dell’organizzazione. Questo crea confusione”.
“Dopo 10-12 giorni dal terremoto – racconta il sacerdote – il governo ha dovuto prendere una decisione, se continuare le ricerche o iniziare la ricostruzione. Ha deciso che la fase di ricerca dei superstiti era finita e tutti i team stranieri venuti per quello hanno dovuto interrompere la loro azione”.