Neo vicario: la ‘sfida’ dell’unità e l’Arabia Saudita che cambia
Ad AsiaNews p. Aldo Berardi, nominato il 28 gennaio vicario del Nord, confessa la “sorpresa” per la scelta, unita alla “consapevolezza” di operare in un territorio che conosce. Gli anni di missione in Bahrein e le visite nella regione. Il rispetto di riti, culture e tradizioni cristiane. Il recente viaggio apostolico di papa Francesco è stata un'occasione “storica” per riunire i fedeli di tutto il vicariato.
Roma (AsiaNews) - Il vicariato d’Arabia è un “melting-pot”, una regione formata da “realtà differenti” in cui la sfida è garantire “l’unità della Chiesa” e, al tempo stesso, valorizzare “la bellezza di questa diversità” che costituisce “una grazia”. Con un moto di “sorpresa”, ma al tempo stesso “obbedienza” e “consapevolezza” di operare in un’area che ha già imparato a conoscere, il neo vicario apostolico dell’Arabia settentrionale p. Aldo Berardi si prepara a vivere la missione. In questa intervista ad AsiaNews il sacerdote dell’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi, di cui finora ricopriva l’incarico di vicario generale, racconta lo “stupore” per la nomina ufficializzata il 28 gennaio scorso e le prossime settimane di preparazione. Con la data dell’ordinazione episcopale e della partenza per la regione - al momento si trova a Roma - ancora da decidere, perché “si sommano la Pasqua e il Ramadan: va trovato un momento opportuno”.
La ‘sfida’ della diversità
Come Chiesa d’Arabia del Nord “dobbiamo essere garanti di unità” rispettando “i diversi riti, culture e tradizioni” delle varie comunità. “La nostra è una bellezza fragile - sottolinea - che permette di imparare come ho fatto negli anni in Bahrein a livello liturgico, i costumi”. Pensando al Golfo è inevitabile il richiamo alle moschee, ai luoghi sacri dell’islam (Mecca e Medina), ma “riscopriamo anche un cristianesimo di epoca precedente con vescovi, monasteri e chiese grazie a una ricerca storica e archeologica che negli ultimi anni dà frutti”. Prima del sopravvento dell’islam si contavano “due vescovi in Bahrein e uno in Arabia Saudita”, testimonianze preziose che è importante conoscano “anche i nostri amici musulmani”.
Il vicariato apostolico dell’Arabia settentrionale estende la propria giurisdizione su quattro Stati della Penisola, con situazioni diverse a livello sociale, politico, per presenza cristiana e libertà religiosa: Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita, nazione quest’ultima in cui non sono ammessi altri luoghi di culto al di fuori dell’islam. Nel 2020, anno della morte dell’ultimo vicario mons. Camillo Ballin cui è succeduto come amministratore mons. Paul Hinder - già vicario dell’Arabia meridionale - si contavano quasi 2,8 milioni di battezzati su circa 43 milioni di abitanti. Il territorio è suddiviso in 11 parrocchie e la sede è in Bahrein (nazione che di recente ha accolto papa Francesco), ad Awali, dove sorge la cattedrale di Nostra Signora d’Arabia.
“Una delle sfide della missione - racconta p. Berardi - è trovare un modo nostro di essere cattolici, senza sentirci isolati. Diventare un vero vicariato, tenendo conto della realtà sociale ed economica. I cattolici sono minoranza ma devono saper valorizzare le opere, partendo dal tema della carità” in una regione in cui cresce “la questione migranti”, come emerso durante i mondiali in Qatar. “Ci sono diverse parrocchie - sottolinea - che operano nel sociale, ma dobbiamo sviluppare ancora di più il settore. Pur non facendo geopolitica, la Chiesa non si deve limitare a fornire cibo ma riflettere sui molti campi di azione, nel rispetto dell’essere ospiti e stranieri. Capire il limite e trovare nuovi modi di agire, così come dobbiamo trovare un equilibrio fra realtà locale e giustizia sociale. Queste sono riflessioni che andranno fatte col clero” per rispondere alla missione della dottrina sociale della Chiesa “in un mondo in continuo cambiamento: attenzione ai fragili, pericolo di nuovi conflitti, pregare - molto - per la pace e la tolleranza”.
Radici in terra d’Arabia
Il neo vicario apostolico dell’Arabia del Nord è nato il 30 settembre 1963 a Longeville-les-Metz (Francia). Dopo aver frequentato il primo ciclo di studi di Filosofia presso il Grand Séminaire di Villers-lès-Nancy e, dopo un’esperienza missionaria in Madagascar, è entrato nell’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi a Cerfroid (Francia). Ha frequentato il secondo ciclo di studi di Teologia presso il Grand Séminaire di Montreal, Québéc (Canada) e ha conseguito la Licenza in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana a Roma. Ha collaborato con la Caritas, prestato la propria opera in un carcere psichiatrico con formazione specifica nella salute mentale, per poi intraprendere studi di lingua araba e islamologia presso la scuola Dar Comboni al Cairo, in Egitto. Nel 2007 le prime esperienze in terra d’arabia presso la parrocchia del Sacro Cuore in Bahrein; dal 2011 al 2019 è parrocco della Saint Arethas et Compagnons Martyrs nel vicariato apostolico del Nord, quindi l’incarico di vicario generale dell’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi.
Come emerge già dalla storia personale, il neo vicario ha radici ben salde in Arabia, regione in cui ha operato a lungo anche se non manca la “sorpresa” per la nomina in una terra finora “sotto la guida pastorale dei cappuccini. Tuttavia, l’ordine al quale appartengo invita ad andare nelle periferie, a riscattare e liberare i ‘cattivi’ secondo l’etimologia latina [i prigionieri, ndr] e per questo ho accettato”. In passato aveva base in Bahrein, ma conosce bene tutta la regione avendo compiuto diversi viaggi. Vi è poi il caso a sé dell’Arabia Saudita “in cui, seppur l’unica religione ammessa e riconosciuta sia l’islam, vivono per motivi di lavoro un milione di cristiani”. Una comunità che va seguita con attenzione, e discrezione, una realtà difficile e spesso nascosta che merita di essere riconosciuta. Un milione di persone che pregano in privato, che coltivano la fede in famiglia e la alimentano grazie a internet e ai social. “Con il Covid-19 il mondo e la Chiesa hanno scoperto le potenzialità di internet e dei social anche per la missione, per la preghiera - ricorda p. Berardi - ma questo approccio in Arabia Saudita è attivo da tempo. In questi 15 anni la realtà è cambiata, il Paese si vuole aprire al turismo e alle attività economiche, attirare stranieri per investire quindi ne va anche ripensata l’integrazione”. In passato i migranti, anche cristiani, si trasferivano nel regno wahhabita il tempo necessario per il lavoro poi partivano, mentre oggi sono le stesse autorità di Riyadh che cercano modi per farli restare, per attirare capitali umani e non. “Serviranno quindi luoghi per riunirsi e celebrare, soprattutto Natale e la Pasqua, e in quest’ottica la spinta che viene dai giovani all’innovazione e al cambiamento è importante”. “Si percepisce - aggiunge - un’esigenza di cambiamento, pur nel rispetto della tradizione e della realtà del luogo: basti pensare al san Valentino, che oggi si festeggia con fiori e cioccolatini mentre fino a qualche anno fa si veniva arrestati anche solo per aver indossato abiti rossi. La polizia religiosa era attenta e vigile, mentre ora vediamo cuori nei grandi magazzini”.
Il papa elemento di unità
In una realtà così diversa, il papa rappresenta un elemento di unità e di incontro come emerso in occasione del recente viaggio apostolico di Francesco in Bahrein e, prima ancora nel 2019, negli Emirati Arabi Uniti. “Le autorità di Manama - spiega - sono aperte e disponibili al dialogo anche perché qui, esempio raro, vi sono cristiani che sono cittadini del Bahrein ed esiste una Chiesa locale che, a poco a poco, cresce. Il passaggio del pontefice è stato una benedizione e ha aperto vie nuove di dialogo, di mutua comprensione e di tolleranza”. La sua presenza ha permesso di ripensare i rapporti interculturali non solo con i vertici, ma a livello di popolazione che “in generale si è mostrata aperta e accogliente”. “Abbiamo mosso i primi passi - prosegue - e ora dobbiamo raccogliere i frutti per tutte le nazioni dell’area. La visita è stata anche occasione rara, se non unica, per riunire tutti i fedeli del vicariato, per mettere assieme gente di Paesi diversi, un momento prezioso di unità e confronto, soprattutto per i giovani. Un momento storico - conclude - che sta a noi come Chiesa valorizzare e promuovere in futuro. Trovare occasioni di incontro fra le nostre realtà non solo in concomitanza di grandi eventi all’estero come le Giornate mondiali della gioventù, ma con iniziative nel locale. Infine, promuovere pellegrinaggi a livello di vicariato a Lourdes, a Fatima, mentre a Gerusalemme è più facile come singoli”.
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