Nell'arruffata matassa turca, Erdogan rischia di perdere tutto
Istanbul (AsiaNews) - Oggi è trascorsa la 9a giornata dall'inizio dei fatti di Gezi Park e già emergono analisi della situazione da parte di vari ambienti intellettuali e diplomatici e da analisti turchi.
Ma per poter capire le cose bisogna rivedere la cronaca dei fatti. Il 28 maggio con l'abbattimento di tre alberi e di un muro, si è dato il via alla costruzione di un centro commerciale sul parco Gezi nella centralissima piazza Taksim. Ma un gruppo di attivisti per la protezione dell'ambiente, si è stabilito nel parco per impedire l'abbattimento e il conseguente proseguimento dei lavori. Il progetto consiste nella ricostruzione della preesistente caserma Topcu, demolita nel 1945 , trasformandola in centro commerciale. Immediato , violentissimo e sproporzionato l'attacco della polizia , molto legata al partito al potere, l'Akp. Questo violento intervento della polizia ha fatto seguito al discorso del premier Tayyip Erdogan alla posa della prima pietra per la costruzione del 3° ponte sul Bosforo - dedicato al sultano Yavuz Selim, detto anche il massacratore degli halevi sciiti, il 12% dell'attuale popolazione turca. Rivolgendosi agli occupanti del Gezi Park, Erdogan ha detto: "Non permetterò a pochi facinorosi di impedire la ricostruzione della storica caserma Topcu [per la quale ha dato il nulla osta anche il Chp, partito laico all'opposizione]".
Sferrando l' attacco per sgombrare il Gezi Park, la polizia non ha previsto la reazione della popolazione, che è corsa in massa a sostegno del gruppo degli attivisti, criticando il premier Erdogan e il suo modo spregiativo di insultare tutti.
L'esplosione di contestazione da parte di una tale gran massa nei confronti del premier turco, insieme ad alcune imposizioni volute dal premier - come il divieto per il consumo di alcol - ha dato inizio a varie analisi.
É la prima volta dopo 10 anni di continuo governo che Tayyip Erdogan, figura egemone del partito AKP, viene contestato. L'Akp non è solo "un partito", ma il primo partito nella storia, da quando è stata permessa la presenza di vari partiti nella Turchia dopo la 2a Guerra mondiale. Erdogan è salito al poter nel 2002 , vincendo a mano bassa le successive tre elezioni parlamentari. Secondo gli analisti, il motivo delle tre schiaccianti vittorie alle elezioni parlamentari, sta nel desiderio di emarginare lo strapotere dei militari, eredi del potere kemalista. Essi, per tanti anni padroni assoluti del potere cosiddetto "laico" in Turchia, erano corroborati nel loro esercizio di potere, da un meccanismo statale di controllo capillarre della società turca. In più, l'ideologia di questo establishment è stato il nazionalismo e la conseguente omogenizzazione di una società antropologicamente variegata, su un modello di conformismo all'occidentale. Secondo lo storico Hamit Bozarslan, il risultato è stata la creazione di una società civile senza propria coscienza civile. In tal modo, nei grossi centri urbani si è formata una intellighenzia più aperta all'Europa e molto critica e sprezzante verso la popolazione di recente urbanizzazione , la quale trovava l'unico appoggio nei partiti islamici. Il motore propulsivo dell'economia era dato le poche note famiglie: Koch, Sabanci, ecc., alle quali furono concesse le proprietà sequestrate ad armeni e greci e ovviamente, la Ocak, la banca delle forze armate.
Una volta conquistato il potere, con un attacco metodico, Erdogan, a capo del suo partito Akp, è riuscito a spappolare lo strapotere dei militari, grazie anche al consenso popolare, coprendosi però le spalle da un eventuale golpe con la presentazione nel 2004 della richiesta d'ingresso della Turchia nell'Unione europea.
Lo scontro di Erdogan e di Akp con il vecchio establishment ha allentato la ferrea presa sulla società turca, tipica del passato, e a tutti i livelli ha permesso - soprattutto alle giovani generazioni - di gustare libertà civili all'occidentale, mai prima assaporate.
Per questo ha una certa verità l'affermazione secondo cui la "Primavera turca" ha avuto inizio nel 2002, con la vittoria dell'Akp alle elezioni.
A tale proposito basta citare il rapporto dell'attuale ambasciatore Usa Francis Ricciardone, il quale di recente ricordava che durante il suo primo mandato, il presidente Obama ha effettuato la sua prima visita all'estero proprio ad Ankara, esaltando il ruolo della Turchia di Erdogan; come pure che lo stesso presidente Usa ha avuto con Erdogan il più grande numero di conversazioni che con qualsiasi altro leader politico.
Lo stesso partito Akp, ha creato una nuova classe medio-alta imprenditoriale, che fa da forza trainante alla crescita economica tanto applaudita da tutti, senza però cessare di foraggiare la vecchia classe economica.
Questi successi hanno esaltato Erdogan, il quale pur essendo un vero animale politico, è privo di cultura, ragion per cui egli è diventato molto arrogante. Del resto anche egli è figlio di quella Turchia diacronica, secondo la quale le idee si impongono non si discutono. La studiosa turca Ayse Tamer ricordava che Erdogan usa non ascoltare. È questo il motivo per cui egli non percepisce l'importanza dei social networks e di certi mutamenti sociali che lui stesso ha inizialmente permesso a formarsi.
Questa sua arroganza, protagonismo, supponenza con conseguenti varie prese di posizioni nello scacchiere internazionale, di recente gli hanno creato molte antipatie nel mondo atlantico e medio-orientale. Non per nulla i fatti del Gezi Park sono avvenuti dopo 15 giorni dalla visita di Erdogan a Washington.
Negli ambienti intellettuali turchi si dice che ora è importante capire se questi sono sbagli umani o sistemici. Se cioè è divenuto anche lui un nuovo establishment e cerca di omogenizzare la società turca a modo suo, avendo però come bussola un modello neo-ottomano.
Non pochi intellettuali ricordano alla classe politica turca le parole di Ismail Cem, defunto ministro degli esteri: l'occidente ci ha sempre considerato un suo gendarme nella zona; per questo occorre il senso della misura, sennò andremo verso rischi esistenziali e rischi incalcolabili , quelli della disintegrazione. Anche perché la Turchia, antropologicamente , non è un classico Paese islamico, ma una società variegata. Insomma, rischia di diventare vero il proverbio: chi troppo vuole, nulla stringe.
Intanto il presidente Gul e vari alti esponenti hanno invitato Erdogan a moderare i toni, portandolo a più miti consigli.
05/04/2016 12:20