Nel Libano tormentato l'Onu torna a chiedere il disarmo delle milizie
La sollecitazione del Consiglio di sicurezza cade su una situazione politica estremamente contrastata per le pressioni di Hezbollah contro il governo filoccidentale di Siniora. Il card. Sfeir incontrerà Berri ed Aoun.
Beirut (AsiaNews) Da una parte il Consiglio di sicurezza dell'Onu che torna a chiedere il disarmo delle milizie "libanesi e non libanesi" presenti nel Paese dei Cedri, dall'altra Hezbollah che dichiara di voler usare "tutti i mezzi democratici" per far cadere il governo Siniora. Sullo sfondo, il presidente della Repubblica, Emile Lahoud, ritenuto filosiriano, che avanza riserve sul tribunale internazionale che dovrebbe giudicare gli assassini politici, a partire dall'uccisione di Rafic Hariri nel quale c'è un coinvolgimento siriano - e le accuse per questo lanciategli contro da partiti della maggioranza e drusi. E ancora, un invito del presidente iraniano Ahmadinejad sostenitore, insieme alla Siria, di Hezbollah - allo stesso Lahoud a recarsi in Iran ed un allarme lanciato da Condoleezza Rice sul pericolo di attentati politici antigovernativi a Beirut, con annessa diffida a Damasco.
Si fa sempre più complessa la situazione libanese, ormai al limite della paralisi politica, in un intreccio di fattori interni ed internazionali che reciprocamente si influenzano. La dichiarazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che parla di progressi nell'applicazione della risoluzione 1559, in particolare per quanto riguarda lo schieramento dell'esercito libanese nel sud del Paese, da dove mancava da quasi tre decenni, sottolinea anche "il rammarico" per la non applicazione del disarmo delle milizie.
Tutt'altro che disposto a lasciarsi disarmare, Hezbollah prosegue nella sua offensiva politica mirante a far cadere il governo filoccidentale di Fouad Siniora. Il capo del gruppo parlamentare del Partito di Dio, Mohammad Raad ha dichiarato che "farà uso di tutti i mezzi democratici e giuridici per ottenere la formazione di un governo di unità nazionale", comprese le manifestazioni di piazza. Dietro tale formula c'è l'obiettivo di un esecutivo nel quale essi abbiano un peso maggiore rispetto ai due ministri di oggi. Per i "nemici" di Hezbollah ciò comporterebbe il ritorno dell'influenza siriana (e iraniana) e garantirebbe che Beirut non tenterà di applicare la parte della risoluzione Onu sul disarmo delle milizie. Peraltro, il rifiuto di consegnare le armi viene giustificato da Hezbollah col fatto che Israele occupa ancora "territori libanesi", ossia le Fattorie di Sheeba. Sono una ventina di chilometri quadrati sotto alle alture del Golan, la sovranità dei quali è reclamata da Libano, Israele e, per un certo periodo, anche dalla Siria. L'Onu sta esaminando carte e mappe per determinare a chi appartengano.
In questo quadro, il presidente del Parlamento, Nabih Berri, capo del movimento sciita Amal, ha visto per ora senza esito il suo tentativo di riaprire il "dialogo interlibanese" che prima della guerra aveva messo intorno ad un tavolo i rappresentanti delle 14 maggiori forze politiche del Paese. Va visto in questo quadro l'annuncio che questa settimana lo stesso Berri incontrerà il patriarca maronita, card. Nasrallah Sfeir che, nella sua omelia di domenica scorsa ha denunciato l'intenzione di "certe parti" di far tornare il Libano sotto la "tutela" siriana. A giorni il card. Sfeir dovrebbe incontrare anche Michel Aoun. I rapporti tra i due si sono deteriorati dopo che Aoun, cristiano maronita, si è schierato a favore delle richieste di Hezbollah per un governo di unità nazionale.