Naufraga il governo libanese. A rischio la stabilità del Paese
di Fady Noun
L’opposizione, con in testa Hezbollah si è dimessa: al centro vi è la questione del tribunale Onu per l’assassinio Hariri. Le diplomazie siriane, saudite, Usa, francesi e iraniane sono all’opera. Il Paese è sull’orlo dell’abisso: basta un incidente per scatenare la guerra civile o uno scontro fra sunniti e sciiti.
Beirut (AsiaNews) – Il governo di unità nazionale presieduto da Saad Hariri è affondato ieri sera dopo le dimissioni di 11 ministri, più di un terzo dei suoi 30 membri. Era stato fondato nel 2008, dopo mesi di crisi e di sede vacante a livello della presidenza della Repubblica. Ormai, in attesa di un nuovo governo, il gabinetto di Hariri può solo trattare gli affari correnti. L’annuncio delle dimissioni collettive è avvenuta nell’ora stessa in cui Saad Hariri si incontrava a Washington con Barack Obama.
Il naufragio rende definitiva la profonda rottura che segna il paesaggio politico dei due campi: uno maggioritario, che sostiene la sovranità nazionale, pro-occidentale; l’altro più o meno infeudato alla Siria e all’Iran. Del resto, da oltre un mese e mezzo questo governo non si riuniva più.
La caduta del governo è legata in modo stretto alla questione del Tribunale speciale sul Libano (Tsl), incaricato di un’inchiesta sull’assassinio – avvenuto nel 2005 - del premier Rafic Hariri, allora leader incontestato della comunità sunnita. Di fatto, l’opposizione, dominata dall’Hezbollah sciita, reclamava – e reclama ancora – che la maggioranza sconfessi quel tribunale, formato sulla base del cap. 7 della carta dell’Onu, sotto il pretesto che esso è politicizzato. E questo prima ancora che sia pubblicato l’atto di accusa che segna l’inizio del processo.
Hezbollah sa alla perfezione che alcuni suoi membri potrebbero essere accusati di essere implicati - per quanto ciò possa sembrare incredibile – nell’attentato che è costata la vita a Rafic Hariri. Negli ultimi tre mesi, questo partito ha moltiplicato gli attacchi contro il tribunale e ha fatto di tutto per screditare in anticipo le possibili conclusioni, accusando quelli che sono a favore di essere “agenti” degli Stati Uniti e di Israele.
Molti temono che il persistere dello stallo politico condurrà il Libano sull’orlo della guerra civile, o a quello che viene chiamata “la discordia”, cioè a scontri fra sunniti e sciiti. Hezbollah e i suoi alleati hanno volutamente mantenuto in sospeso questo aspetto, per fare pressione sulla maggioranza.
Per scongiurare tale pericolo, l’Arabia Saudita – principale potenza che si mantiene a fianco di Saad Hariri - e la Siria – che controlla i partiti d’opposizione – hanno tentato di riconciliare i punti di vista contrari dei due campi. È stato il naufragio di questa iniziativa a far naufragare il governo.
Trovandosi negli Stati Uniti, attraverso una dichiarazione al quotidiano Al-Hayat (con base a Londra), il premier Hariri ha annunciato che egli non prenderà nessuna nuova iniziativa se “l’altro campo” non compie tutto quanto si attendeva da loro nella reciproca collaborazione.
L’opposizione, mettendo giù subito tutte le carte, ha domandato per domenica la riunione del consigli dei ministri, il cui unico ordine del giorno è una presa di posizione ostile verso il Tsl. La proposta è stata rifiutata da Hariri.
I termini dell’intesa siro-saudita sono rimasti segreti per lungo tempo. Oggi se ne conosce qualche dettaglio. Con il dispiacere della maggioranza, si sa ad esempio che Saad Hariri ha fatto una dichiarazione ad Al Chark el-Awsat , quotidiano saudita basato a Londra, in cui egli ammetteva che alcuni “falsi testimoni” avevano indotto in errore la commissione d’inchiesta del Tsl fin dall’inizio dei lavoro, influenzando negativamente i rapporti siro-libanesi.
Invece che calmare l’atmosfera, questa dichiarazione – prima clausola dell’accordo siro-saudita – l’ha complicata, tanto che l’opposizione ha lanciato una campagna perché questi “falsi testimoni” siano giudicati in Libano. In tal modo, si è data più importanza a questa questione che all’inchiesta sull’assassinio di Rafic Hariri, all’origine del dossier, di cui i “falsi testimoni” sono un corollario. Ciò ha condotto Hariri (figlio) ad affermare che “l’altro campo non è stato fedele ai sui impegni”, facendo allo stesso tempo un passo nella stessa direzione.
Si è saputo che fra i suoi impegni vi era il ritiro del mandato giudiziario emesso dalla giustizia siriana nel quadro di una denuncia dell’ex direttore della Sicurezza, Jamil Sayyed contro un certo numero di personalità libanese vicine ad Hariri e alla maggioranza, nell’affare dei “falsi testimoni”.
Che succederà ora? Cosa potrà succedere?
Perché la crisi non degeneri in scontri per le strade, dopo la pubblicazione dell’atto di accusa, atteso nei prossimi giorni – ciò che Nabih Berri, presidente della Camera e leader di Amal dice di voler evitare “ad ogni costo” – occorre aspettarsi una passerella di personaggi arabi e stranieri che vengono in Libano per aiutare i libanesi a riparare la loro crisi. Il problema è che, sebbene la crisi sia in Libano, i fili sono tenuti in Siria, Iran, Washington, Arabia saudita, e il balletto diplomatico incrociato rischia di coinvolgere più di una capitale araba o europea
Fin da ora la Francia di Sarkozy si sforza di riunire i protagonisti locali, regionali e internazionali della crisi, compresi Egitto, Turchia e Qatar in vista di un regolamento globale. Ciò significa che la crisi libanese è lontana dall’essere propriamente locale. Ma la crisi sarà risolta a spese del tribunale internazionale? No, a credere alle voci guida della maggioranza, che ripetono per chi vuole capire, che questa corte “ è una linea rossa invalicabile” e attendono da un giorno all’altro le rivelazioni che potrebbero portare a un atto di accusa di Daniel Bellemare [attuale capo dell’inchiesta ONU sull’assassinio Hariri – ndr].
Andiamo forse verso uno scontro sunnito-sciita? Di fatto, Hezbollah, pur facendo un gioco duro, cerca di evitare che la crisi prenda questa piega che lo screditerebbe per sempre quale “movimento di resistenza”. È questa la ragione per cui le dimissioni collettive dell’opposizione sono state annunciate dalla casa di un cristiano, Michel Aoun, capo di un largo blocco parlamentare.
L’esercito e le forze dell’ordine libanesi hanno fissato a loro volta la linea rossa: la pace civile. Il comandante in capo dell’esercito, gen. Jean Kahwagi, ben accetto da tutte le fazioni, ha dichiarato con fermezza che tale pace sarà preservata. Il Libano si arresterà sull’orlo dell’abisso? È quanto pensano in generale gli osservatori. La crisi potrebbe essere risolta in seno alle istituzioni, proprio mentre l’opposizione spera di squilibrare la maggioranza avvicinando a sé il blocco del deputato druso Walid Joumblatt, passato dal campo della maggioranza a quello del presidente della repubblica.
A meno che… A meno che non capiti uno scivolone incontrollato, sempre possibile, che potrebbe venire da un grave incidente o da tensioni nella strada. Alcuni osservatori non scartano questa possibilità e affermano che le soluzioni delle crisi libanesi avvengono sempre “a caldo”. In questo senso, cade a pennello un evento previsto per il 10 febbraio prossimo: una manifestazione contro il caro-vita indetta dalla confederazione degli operai libanesi, vicini all’opposizione.
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