21/05/2012, 00.00
AFGHANISTAN
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Nato e Francia: per l'Afghanistan, preoccupatevi della popolazione e delle scuole

di Jawad Omid
Il Paese non è pronto al trapasso dei poteri e al ritiro delle truppe internazionali. Eppure il 70% dei fondi sono stati assorbiti dal settore militare. Critiche alla Francia, ma anche alle ong. I timori per la ripresa delle violenze inter-tribali e per la situazione delle donne. Le considerazioni di un educatore di Kabul (che per motivi di sicurezza si firma con uno pseudonimo).

Kabul (AsiaNews) - Al summit della Nato a Chicago si sta discutendo sul futuro dell'Afghanistan e sulla possibilità che alcuni Paesi europei lascino l'Afghanistan prima delle scadenze concordate (la fine del 2014). Tutto questo mi spinge a qualche considerazione.

Anzitutto che, come dite voi occidentali, "pacta servanda sunt", i patti devono essere osservati. Se l'accordo fra i componenti della Nato è che si vada via entro il 2014, tutti dovrebbero rispettare questa data.

È vero che la Francia, con la sua mania di grandeur, pensa di poter fare quello che le pare e piace. È vero anche che la situazione economica mondiale è difficile. Ma con tutto ciò, vi sono Paesi che stanno peggio della Francia, eppure rimangono fedeli agli accordi. Mi sembra che oltre alla Francia, non vi sono altri Paesi che - con una certa consistenza numerica nel contingente militare - abbiano deciso di lasciare. Il grosso si ritirerà fra il 2013-2014, come stabilito.

Un'altra considerazione: occorre che qualunque decisione a Chicago sia presa avendo chiare le conseguenze di tali scelte. La domanda a cui rispondere è questa: è preparato l'esercito afghano a subentrare nella gestione della sicurezza del Paese? E la polizia è preparata?

Qui si apre un problema morale: con tutti i soldi devoluti agli eserciti e al settore militare - circa il 70% degli aiuti internazionali - come mai vi è una tale lentezza nell'educare le truppe afghane? La fretta nell'andare via e il modo in cui sono stati spesi i fondi lasciano un grande amaro in bocca e una forte sfiducia nei Paesi occidentali, anche perché toccherà a noi che rimaniamo in Afghanistan affrontare le conseguenze.

Dopo oltre 10 anni, queste truppe lasciano un Paese quasi come lo hanno trovato. Dal punto di vista sociale il livello è più o meno simile al passato. Certo, lasciano un esercito armato, preparato, che difenderà interessi di gruppi, più che interessi nazionali. Ma se consideriamo che il 70% dei fondi è andato per la riorganizzazione dell'esercito e della polizia, alle strutture sociali - ospedali, scuole, strade, che sono ciò che conta per la popolazione - sono andate le briciole.

Un altro problema che il futuro Afghanistan dovrà affrontare sono le lotte tribali. Basta guardare alla storia del Paese: i tagiki che sono stati sempre schiacciati dai pashtun; gli azarà anch'essi umiliati, rialzeranno la testa.

C'è da sperare che prevalga il buon senso, ma nel Paese domina la paura proprio perché si ha consapevolezza di non aver preparato a sufficienza un futuro di pace.

Ma più che i soldati, nel tempo che rimane occorrerebbe sostenere di più gli operatori umanitari. Anche in questo campo, comunque, vi sono organizzazioni non governative che si sono arricchite con le loro operazioni in Afghanistan.

Per una valutazione sull'impegno della forza multinazionale, occorre considerare un ultimo aspetto: quello del miglioramento della condizione delle donne.

Si può dire che a Kabul la situazione è abbastanza buona e la frequenza scolastica delle ragazze è alta. Le ragazze hanno voglia di studiare. Anzi, se vi sarà un'evoluzione del Paese, ciò sarà dovuto proprio alle donne. Anche in altre città vi sono segnali positivi. Ma dove ci sono i talebani e nei villaggi, tutto è determinato dai mullah e dai talebani e dalla loro mentalità.

La mentalità anti-femminile è diffusa da sempre nella società. Forse solo durante il periodo dell'invasione sovietica vi è stata una grande libertà. Forse le organizzazioni umanitarie dovrebbero impegnarsi di più nell'educazione delle ragazze e della popolazione.

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