Mosul ha ritrovato il suo minareto. Mons. Moussa: nuova cultura, il fanatismo non tornerà
Torna agli antichi splendori la moschea di al-Nuri, grazie all’opera finanziata dall’Unesco insieme al restauro della chiesa di Al-Tahera. Un progetto durato sette anni, per un valore complessivo di oltre 100 milioni di dollari. L’arcivescovo caldeo: “progressi significativi nell’istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture”. Il ricordo della visita del papa. Per i cristiani prioritarie scuola e lavoro.
Milano (AsiaNews) - “Un decennio dopo l’incubo terrorista di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico], Mosul sta riprendendo fiato e tornando al suo ritmo abituale. Sono stati compiuti progressi significativi nell’istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture della città”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Michael Najeeb Moussa, domenicano, dal gennaio 2019 arcivescovo caldeo di Mosul, metropoli nel nord dell’Iraq, considerata la “capitale” del califfato islamico durante gli anni del dominio jihadista. “L’università, esemplare nell’insegnamento e nel progresso, ha ottenuto un posto all’Unesco solo pochi anni dopo la liberazione” dall’Isis, prosegue il prelato. E la popolazione “rifiuta lo spirito fanatico e le pratiche terroristiche dei gruppi salafiti. Non vi è possibilità - afferma - che questi gruppi fanatici riemergano, per una nuova collaborazione tra popolazione, servizi di intelligence e il governo per combattere violenza e ideologia settaria”.
Da poco è tornata agli antichi fasti la Grande Moschea di al-Nuri a Mosul, famosa per il minareto pendente di Hadba con i suoi otto secoli, distrutta dai militanti dell’Isis nel 2017 e oggetto di un profondo lavoro di restauro in un quadro più ampio di rinascita della capitale del nord. Dal suo minbar, infatti, il 4 luglio 2014 il leader dello Stato islamico (SI) Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato la nascita del sedicente “Califfato” che, nel periodo di massima estensione, è arrivato a comprendere metà dei territori di Iraq e Siria.
Tre anni dopo, il gruppo estremista ha demolito il luogo di culto nelle fasi finali della campagna lanciata dall’esercito iracheno, sostenuto dagli Stati Uniti, conclusa con la sconfitta - almeno sul piano militare - dei jihadisti e la loro cacciata dalla seconda città per importanza del Paese. Una vittoria al prezzo di una guerra urbana prolungata e feroce, che ha ridotto in macerie gran parte del patrimonio storico, artistico e culturale della città, già segnata dalle devastazioni degli uomini del “califfo” sotto il suo dominio.
Nel 2018 l’Unesco aveva lanciato il progetto “Revive the Spirit of Mosul”: l’obiettivo era ricostruire la Grande moschea di Al-Nouri, la chiesa di Al-Tahera e il convento di Al-Saa’a, trasformato dall’Isis in prigione. Tre patrimoni dell’umanità simbolo di storia e cultura, distrutti dai miliziani tra il 2014, anno dell’ascesa jihadista, e il 2017 che ha segnato la sconfitta - almeno sul piano militare - degli uomini di al-Baghdadi. Sono trascorsi sette anni e sono stati investiti 111 milioni di euro, ma ora il progetto è giunto al termine e i tesori salvati, anche se molto resta ancora da fare per il rilancio complessivo di quella che era la capitale economica e commerciale del Paese.
“L’Unesco - spiega mons. Moussa - ha selezionato una serie di monumenti di grande importanza simbolica, tra cui due moschee e due chiese, oltre a una serie di case tradizionali tipiche dell’arte di Mosul, demolite da Daesh”. Tra questi, prosegue, “la famosa moschea ‘gobba’ e la chiesa dell’Orologio, oltre alle dimore al Tetunchi, Sulaiman Sayegh e altre”. Analizzando il valore del patrimonio culturale e archeologico dell’Iraq, il vero “oro nero” come lo aveva a suo tempo definito il patriarca caldeo card. Louis Raphael Sako, il prelato ricorda che “non si misura in termini materiali, ma simbolici. Ogni monumento porta con sé una pagina di storia e diventa un linguaggio che racconta il passato di una comunità”.
I monumenti oggetto di ricostruzione sono “elementi unificanti per la città” sottolinea l’arcivescovo caldeo, perché “non è immaginabile Mosul senza la moschea di al-Nuri o la chiesa dell’Orologio dell’imperatrice Eugenia”. “Il patrimonio non conosce confini - avverte - e riflette un luogo e un popolo, non solo una religione. I grandi restauratori di questi monumenti - sottolinea - lavorano con lo stesso impegno per costruire una chiesa, una moschea o un santuario. È meraviglioso lavorare e collaborare insieme”, anche perché “l’arte stessa è sacra, poiché riflette i valori umani e la creatività di ogni comunità”.
Per quanto riguarda la comunità cristiana, la “priorità” è “assicurare il loro ritorno ripristinando le case, trovando posti di lavoro e garantendo l’istruzione attraverso scuole e centri per il catechismo” avverte mons. Moussa. “I cristiani - prosegue - devono essere considerati veri cittadini come gli altri e non minoranze marginali, la legge deve proteggere e preservare i loro siti storici e demografici”. Da ultimo dedica una riflessione su papa Francesco, in questi giorni ricoverato per problemi di salute, che quattro anni fa di questi tempi si apprestava a visitare l’Iraq nel primo viaggio apostolico all’estero in piena pandemia di Covid-19. La visita a Mosul il 7 marzo 2021, afferma il prelato, “è stata una vera e propria festa per tutta la città e i suoi echi risuonano ancora nella memoria della popolazione. Un uomo di pace che deplora la violenza e invita alla fratellanza umana. Grazie a questa storica visita ha focalizzato l’attenzione dei media sulla distruzione dell’uomo e della pietra, per accelerare la ricostruzione della città e della sua cultura. Nella chiesa caldea di San Paolo - conclude - è stato allestito un piccolo museo che ripercorre la visita del papa e a Mosul è stato fondato un centro culturale che porta il nome di Francesco”.