24/11/2022, 08.50
RUSSIA
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Mosca: combattenti per la libertà sfidano Putin

di Vladimir Rozanskij

Boris Fedjukin, leader del partito dei Libertari, non è fuggito all’estero come altri politici d’opposizione. Questa guerra “non può essere attribuita alla volontà di tutti i cittadini in Russia”. Dissidenti sottoposti a continui controlli e perquisizioni. “I russi tengono alla libertà più di quanto sembri”.

Mosca (AsiaNews) – Se non sono stati internati nei lager, la maggior parte dei leader politici di opposizione in Russia sono fuggiti all’estero. Vuole invece rimanere a tutti i costi il giovane presidente del partito dei Libertari, Boris Fedjukin (v. foto), a capo di una formazione non registrata ufficialmente e attiva in varie località, con la sede principale a Samara, grande città adagiata sulle rive del Volga. In un’intervista a Radio Svoboda, egli ha spiegato le sue speranze per il futuro della Russia.

Secondo Fedjukin, “il nostro Paese è spaccato in due: da una parte c’è un’élite di ossessionati, che sostengono i folli piani di Putin, i propagandisti e ‘siloviki’, uomini di forza e ordine, che vogliono solo conservare l’ordine attuale delle cose. Questi rifiutano ogni invito alla pace, e portano la responsabilità per le morti e le stragi”. Tutti gli altri, spiega il politico, “sono tagliati fuori dalle scelte, non hanno voce e vengono emarginati, soggiogati dalla propaganda, e sono soltanto dei testimoni passivi della pazzia al potere”.

La maggioranza dei russi non riesce a rendersi conto della tragedia della guerra. Fedjukin racconta che ogni mattina deve spiegare a suo figlio di “non credere agli insegnanti, quando fanno le lodi della guerra e di Putin”, e la sera lo interroga per sapere che cosa hanno cercato di inculcargli. A casa sua sono già passati più volte i poliziotti a fare perquisizioni, e il giovane attivista è stato inserito nella lista dei “Russofobi 2022”, che dirama avvisi per tutti i siti internet intimando di non pubblicare le sue dichiarazioni contro la guerra.

I membri del suo partito hanno cercato di mettersi in contatto con i “libertari di tutto il mondo”, per spiegare che questa guerra “non può essere attribuita alla volontà di tutti i cittadini della Russia”. Fedjukin non è fuggito, per continuare a testimoniare i valori in cui crede, “l’individualismo e il diritto di ogni persona di cercare la felicità dove e come crede”, senza condannare chi preferisce andarsene da un’altra parte: “Io ho fatto la scelta di rimanere, anzitutto per i doveri verso le persone a me care”. Parla del figlio che va a scuola, della moglie, del padre anziano, ma anche di casa e lavoro. Egli sottolinea che “in Russia ci sono le mie radici”.

Le autorità sottopongono le famiglie degli attivisti fuggiti a sistematiche pressioni e perquisizioni. Boris afferma di “stare male al pensiero di far pagare ai miei parenti e amici le conseguenze delle mie azioni”. Le perquisizioni continue “di staliniana memoria” mettono alla prova la pazienza delle persone, sono una tortura psicologica prima ancora che una misura di oppressione reale, visto che si concludono quasi sempre senza esito; la vera punizione è proprio quella di avere sempre in casa uomini volgari e minacciosi, che rivoltano tutto quello che trovano senza logica e scopi reali.

Fedjukin aggiunge di rimanere in Russia per fedeltà ai suoi compagni di partito, a cominciare dalla moglie Alisa, che cercano di imitare i dissidenti del periodo sovietico per far sentire almeno una flebile voce in favore della pace “come chi andava in piazza nel 1968, per condannare l’invasione della Cecoslovacchia, e far sapere al mondo che non tutti i russi sono dei fanatici imperialisti”. Oggi i libertariani, più che sulle manifestazioni pubbliche quasi impossibili, si concentrano sulla difesa dei diritti con l’assistenza giuridica, e cercano di presentare candidati alle elezioni comunali, come a Mosca e a Saratov.

La cosa peggiore, spiega Boris, è che “non ci hanno tolto tutte le libertà in un momento, avremmo avuto tutti uno shock tremendo, ma ce le hanno tolte a poco a poco in modo sistematico, e sembra che non ci sia fine a questo processo”. Il problema non è tanto quello delle “ridicole liste dei russofobi o degli ‘inoagenty’, dei nemici della patria” che sono quasi “un segno di distinzione e di onore”, ma la sistematica consegna dei dati e delle informazioni sulla vita dei dissidenti nelle mani delle Forze dell’ordine, “che ci tolgono il respiro”.

Eppure il giovane politico non è del tutto pessimista: “I russi tengono alla libertà più di quanto sembri, e dopo i tanti esperimenti di autoritarismo, ora sappiamo quanto può essere pericoloso lo Stato”. Lo Stato porta sofferenza e disperazione, “il popolo russo sa di dover contare solo sulle proprie forze, noi abbiamo uno spirito libertario, e sapremo rinascere da tutto questo”.

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