06/05/2021, 10.14
RUSSIA-CINA
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Mosca in soccorso di Pechino: Nello Xinjiang nessun genocidio degli uiguri

di Vladimir Rozanskij

Un progetto russo-cinese mira a “smascherare la menzogna occidentale”. Sui media russi vi sono interviste a soddisfatti lavoratori dello Xinjiang. Segretario del Gruppo di Shanghai: “Non si riscontrano violazioni dei diritti umani”, né discriminazioni religiose o “genocidi razziali”. Mosca delega alla Cina il controllo dell’inquieta Asia centrale.

Mosca (AsiaNews) – Il Cremlino è sceso affianco alla Cina contro l’Occidente nella guerra delle “fake news” sullo Xinjiang. Il 4 maggio è apparso sulla Rossijskaja Gazeta un progetto russo-cinese di “smascheramento della menzogna occidentale” sul genocidio degli uiguri, preparato dagli sforzi comuni dei media russi e cinesi. È stata proposta perfino un’applicazione mobile d’informazione Rossija-Kitaj-glavnoe “Russia-Cina-attualità”. Nei servizi si esalta “l’amore per il lavoro del popolo dello Xinjiang” in occasione della festa del Primo maggio, “che merita il rispetto del mondo intero”. Si afferma che gli uiguri “lavorano volontariamente nell’industria locale”.

La campagna contro le “fake news” è iniziata da tempo. Lo scorso 4 aprile, Vladimir Norov, segretario del Gruppo di Shanghai ha visitato diverse località dello Xinjiang, tra cui Urumqi, Kashgar, Aksa e altri centri. Con lui vi era una delegazione di diplomatici uzbeki e russi (foto 1 e 2).

Al suo ritorno egli ha affermato che nello Xinjiang “non si riscontrano violazioni dei diritti umani”, né tantomeno discriminazioni religiose o “genocidi razziali”.

Ancora durante i giorni delle feste di maggio, i media russi e centrasiatici hanno dato spazio alle testimonianze dei lavoratori dello Xinjiang, in buona parte di etnia kazaca, andando contro la “propaganda occidentale” sul lavoro forzato nella regione, affermando invece di godere di condizioni di lavoro molto soddisfacenti.

Le affermazioni dei media e di Norov contrastano con quanto molte ong, esperti e Stati in occidente affermano: che nello Xinjiang le autorità cinesi detengono o hanno detenuto in campi di concentramento oltre un milione di uiguri, kazaki e kirghisi. Anche le Nazioni Unite hanno confermato l’esistenza di campi di lavoro nella regione, dove centinaia di migliaia di persone sarebbero impiegate con la forza. Ricercatori indipendenti sostengono perfino che il governo cinese stia conducendo una campagna locale di sterilizzazioni forzate per controllare la crescita della popolazione di origine uigura. Pechino ha sempre negato ogni accusa, bollandola appunto come “fake news”, ma ha sempre rifiutato visite “non programmate” e “non guidate” di esperti, politici e membri Onu.

L’appoggio di Mosca sulle “fake news” nasconde una collaborazione più profonda e un prendere ad esempio la Cina per controllare le regioni dell’Asia centrale, sempre più inquiete e sempre più autoritarie.

In un’inchiesta di Idel.Realii, in questi giorni sono apparse informazioni sulla diffusione di tecnologie di controllo nelle città dell’Oltrevolga, dove ultimamente si concentrano gli sforzi di espansioni degli investitori cinesi. Il produttore cinese Hikvision sta installando sistematicamente le videocamere di controllo facciale sia nel Xinjiang che in Tatarstan, giustificandole con le necessarie misure di sicurezza in rapporto ai tanti disordini e conflitti degli ultimi tempi in varie zone dell’Asia centrale.

Intanto, il conflitto di frontiera tra il Tagikistan e il Kirghizistan è stato provvisoriamente sospeso con gli accordi del Primo maggio. Secondo il sito fergana.ru, durante gli scontri intorno al bacino acquifero Golovnoj, da parte kirghisa sono morte 36 persone, con 183 feriti e 33 mila sfollati. Il sito Asia-plus ha invece informato che da parte tagica vi sono stati 19 vittime e 88 feriti. Il presidente del Kirghizistan ha dichiarato l’1 e 2 maggio giorni di lutto nazionale. I diversi regimi autoritari dei Paesi del Centro Asia sembrano sempre meno capaci di controllare la situazione, e il rischio di cui in questi giorni parlano molto osservatori è la destabilizzazione dell’intera regione.

La Russia stessa appare piuttosto impotente di fronte alla disgregazione degli spazi post-sovietici, e sembra lasciare sempre più il campo all’influsso della Repubblica popolare cinese, già molto attiva nell’area dal punto di vista economico.

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