Mosca, il dialogo tra ortodossi e uniati al cuore della pace
La visita del card. Pietro Parolin a Mosca è l’occasione per ricostruire una sintonia fra cattolici e ortodossi, segnati dalle ferite del passato ateista e dal conflitto ucraino. I cattolici russi di rito latino sembrano avere una funzione di mediazione. Ieri vi è stato l’incontro fra il card. Parolin e il metropolita Hilarion. Oggi, molto attesi, gli incontri con Kirill e con il ministro degli esteri Serghei Lavrov.
Mosca (AsiaNews) - Dal 21 al 24 agosto il segretario di Stato, card. Pietro Parolin è in visita ufficiale in Russia dove oggi incontrerà il patriarca ortodosso di Mosca Kirill e il ministro degli esteri Serghei Lavrov; l’indomani il presidente Vladimir Putin.
Ieri il card. Parolin ha incontrato il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne (Dree). A tema vi è stata anzitutto la crisi siriana e la tragica condizione dei cristiani nel Vicino Oriente. Il comunicato stampa ufficiale del Patriarcato afferma che “valutando le possibilità di soluzione della crisi siriana, i due interlocutori si sono accordati sul fatto che anzitutto si rende necessario eliminare il terrorismo dal territorio della Siria, e soltanto dopo il conseguimento della pace nel Paese si dovrà determinare il suo futuro politico”.
L’altro tema molto caldo è la questione ucraina e la libertà religiosa in quel Paese. Al parlamento ucraino si stanno preparando alcune leggi che di fatto discriminano la posizione della Chiesa ortodossa di obbedienza moscovita. Hilarion ha citato “con disappunto i casi di affermazioni politicizzate e di azioni aggressive da parte dei rappresentanti della Chiesa greco-cattolica in Ucraina”, riconoscendo invece il sostegno che gli ortodossi ricevono dalla Santa Sede. “Le parti - dice ancora il comunicato ufficiale - hanno espresso la comune convinzione che la politica non debba immischiarsi nella vita ecclesiastica, e che le Chiese in Ucraina siano chiamate a giocare un ruolo pacificatore, collaborando al ristabilimento della coesione civile nel Paese”. Sulla questione siriana e sulla situazione dei cristiani in Medio oriente vi è concordia pressoché totale fra russi ortodossi e cattolici. Non così sulla questione uniata. Sulle prospettive di questo tema, ecco quanto spiega il nostro corrispondente.
Mentre è in corso la visita del cardinale Pietro Parolin a Mosca, ci s’interroga sulle prospettive del dialogo e della collaborazione tra i cattolici e gli ortodossi russi, una delle chiavi per una migliore comprensione tra la Russia stessa e l’Occidente. Il conflitto iniziato nel 2014 tra russi e ucraini, che ha generato il nuovo clima di “guerra fredda”, è infatti una questione culturale e confessionale, prima ancora che economica, militare e politica.
Per anni, dopo le grandi aperture dei primi anni ’90, il Patriarcato di Mosca ha denunciato i due grandi ostacoli al rapporto con la Chiesa Cattolica: il cosiddetto “proselitismo” dei cattolici sul territorio russo, e i contenziosi con i greco-cattolici uniati dell’Ucraina. Il primo problema è ormai da tempo risolto: esaurita la stagione delle riaperture di chiese e parrocchie, la comunità cattolica russa ha ormai accettato, sotto la guida dei vertici vaticani, di rimanere in una dimensione ben definita, senza ambizioni espansionistiche. Da anni è attiva una commissione congiunta tra i cattolici locali e i rappresentanti del Patriarcato ortodosso, per valutare ogni singola iniziativa dei cattolici, sia essa l’apertura di una nuova parrocchia o la creazione di strutture educative o caritative. Era la via proposta ancora nel 1989 dall’allora metropolita Kirill, oggi patriarca, in qualità di responsabile delle relazioni esterne del patriarcato. Egli suggeriva di non nominare vescovi cattolici in Russia, e di lasciare agli ortodossi la tutela sulle situazioni in cui si fosse resa necessaria una missione cattolica.
Si calcola che in Russia viva circa un milione di cattolici, su una popolazione di oltre 140 milioni. Il papa Giovanni Paolo II ritenne allora di dover invece assicurare delle strutture efficaci per la cura pastorale dei suoi fedeli russi: nel 1990 inviò il nunzio apostolico, che nel 1991 organizzò la nomina di alcuni vescovi come amministratori apostolici. I vescovi sono ormai residenziali, ma l’idea della tutela ortodossa è tornata a essere decisiva nelle relazioni tra le due Chiese sul territorio. Tale argomento non sarà particolarmente impegnativo nei colloqui di questi giorni del card. Parolin, che dovrà soltanto assicurare ai sacerdoti che operano in Russia più flessibili procedure di registrazione e operatività pastorale.
Nello stesso 1990, il nunzio mons. Colasuonno tentò anche di risolvere la questione ucraina, proponendo ai greco-cattolici ucraini di sedersi intorno a un tavolo con la controparte russa, per valutare i problemi aperti. All’incontro partecipava lo stesso metropolita Kirill, mentre da parte ucraina la delegazione era guidata dall’arcivescovo Volodymyr Sternjuk, che reggeva la sede vacante dell’arcivescovo maggiore di Leopoli. Sternjuk, che aveva subito anni di dure persecuzioni sotto il regime sovietico, si rifiutò di trattare con chi si era invece piegato a compromessi con i comunisti atei, e lasciò l’incontro senza che si giungesse ad alcuna conclusione. La storia ondivaga della politica ucraina ha nel tempo rimescolate molte carte, ma l’ostilità tra i due contendenti è covata come un fuoco sotto la cenere, esplodendo nella rivolta del Majdan del 2013-2014. Il Patriarcato di Mosca accusa gli uniati di essere i veri ispiratori della rivolta anti-russa; i greco-cattolici insistono sulla responsabilità degli ortodossi nelle aggressioni dei militari russi sul territorio ucraino.
Non a caso, il Segretario di Stato vaticano ha visitato negli anni scorsi la Bielorussia e l’Ucraina, prima di giungere a Mosca per proporsi come arbitro in un conflitto riesploso solo di recente, ma in realtà plurisecolare ed estremamente complesso: i confini tra Oriente e Occidente in Europa non sono mai stati definiti e stabili, e lo stesso nome “Ucraina” significa proprio “presso il confine”, per indicare non tanto un’etnia, ma una condizione originaria degli slavi orientali, sempre alla ricerca dei limiti di un territorio sconfinato.
L’Ucraina è oggi un Paese indipendente di oltre 50 milioni di persone, e i greco-cattolici sfiorano il 10% della popolazione complessiva; vi è anche una significativa minoranza di cattolici latini, di etnia polacca. Nel Paese sono attive ben tre giurisdizioni ortodosse: quella maggioritaria in comunione con Mosca, un Patriarcato indipendente di Kiev, e perfino una minoranza sottomessa direttamente al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli.
Il Patriarcato di Mosca ha mostrato di apprezzare l’equilibrio della diplomazia vaticana in Ucraina, come ha affermato i giorni scorsi il segretario per le relazioni intercristiane, lo ieromonaco Stefan (Igumnov) in una dichiarazione riportata da molti organi di stampa: “Nessuna dichiarazione della Santa Sede si è prestata ad essere usata come provocazione, in modo da spingere il conflitto in quel paese sul piano religioso”.
Anche il segretario e portavoce della Conferenza episcopale cattolica russa, mons. Igor Kovalevskij, ha affermato in una conferenza stampa del 17 agosto che “conoscendo molti rappresentanti della Chiesa ucraina greco-cattolica, posso assicurare che essi sono pronti a un dialogo costruttivo con la Chiesa ortodossa russa. È un dialogo che in qualche modo è già iniziato, e continua a vari livelli”.
I cattolici russi cercano da sempre di mediare tra i due contendenti; sulla carta esiste perfino un Esarcato per i greco-cattolici nella stessa Russia, che funzionò realmente soltanto nei primi anni dopo la rivoluzione, ma esistono diverse parrocchie cattoliche di rito orientale in Russia, per gli ucraini lì residenti, ma anche per piccoli gruppi di russi cattolici che, sentendosi in comunione con Roma, non intendono rinunciare alle proprie tradizioni ortodosse.
La speranza è che si riesca a far tesoro dei tanti errori del passato, e si possa ripartire non solo dalla tolleranza e dal rispetto reciproco, ma soprattutto dall’ideale che accomuna i cristiani dei territori russi e ucraini: quello di un cristianesimo veramente universale, “cattolico” di fatto e non di nome, che possa riunire in un unico respiro i “due polmoni” della Chiesa, per il bene dell’intera umanità.
19/08/2017 09:54
19/08/2017 09:49