16/11/2017, 12.50
IRAQ
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Mons. Warduni: una nuova Costituzione per la nascita di un Iraq laico e unito

Per la Chiesa caldea è fondamentale ripensare la Carta fondante dello Stato secondo i principi “dell’uguaglianza e dei diritti umani”. Alcune norme basate sulla sharia inaccettabili per uno Stato moderno e civile. Il conflitto fra arabi e curdi, fra Erbil e Baghdad rischia di innescare un nuovo esodo dei cristiani.

 

Baghdad (AsiaNews) - Per la rinascita dell’Iraq è necessario ricominciare dai principi cardine “dell’uguaglianza e dei diritti umani”, partendo da una riforma della Costituzione “che è la base per garantire l’unità” del Paese. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Shlemon Audish Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad e braccio destro del patriarca caldeo, che rilancia l’impegno dei cristiani “per la pace, la sicurezza e la convivenza civile”. Il terreno in Iraq è “fertile”, aggiunge il prelato, ma “manca la volontà di farlo”; da qui la necessità di un rinnovato “impegno” fra tutte le componenti della nazione, partendo dal principio “dell’uguaglianza: tutti i cittadini devono essere uguali davanti alla Costituzione”.

Non vi sono nazioni al mondo, sottolinea mons. Warduni, che possono “vivere senza la Carta fondamentale” e la ricostruzione dopo anni di guerra e violenze di matrice confessionale deve basarsi sui pilastri “della giustizia e della libertà”. Come è possibile, chiede il prelato, parlare di “libertà di coscienza” quando il criterio di governo “è la sharia, la legge islamica” che garantisce una posizione dominante dei musulmani rispetto alle altre componenti etniche e confessionali.

Anche in passato la leadership della Chiesa irakena si era scagliata contro la (controversa) Costituzione irakena, contestando in particolare l’articolo 37-2 che non tutela i diritti e la libertà religiosa delle minoranze. Nel settembre 2015 il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako aveva inviato una lettera al Parlamento, chiedendo di modificare il comma secondo cui un minore viene registrato come musulmano nel caso in cui uno dei due genitori si converta all’islam.

Nei giorni scorsi il patriarca caldeo, in visita in Francia, aveva invocato una riforma della Costituzione in Iraq, con l’obiettivo di assicurare “l’uguaglianza di tutti i cittadini”, riportando all’ambito di una “scelta personale” la fede professata. Essa, ha aggiunto il prelato, non deve influenzare il normale svolgimento degli affari dello Stato.

“Oggi la priorità degli irakeni - ha sottolineato il primate caldeo  è la sicurezza e la stabilità”. A questo si aggiunge il bisogno di un “aiuto internazionale” perché il Paese possa ripartire secondo una modalità “sana, e non confessionale”. Per questo non basta rimettere pietre e mattoni, se non vi è al contempo una “ricostruzione” delle persone e di una società colpita nel profondo dalle devastazioni dello Stato islamico (SI, ex Isis), sconfitto sul piano militare ma non nell’ideologia. Per fare tutto questo è necessario cambiare una Costituzione che affonda le radici al 2005 e che è radicata ancora all’elemento religioso e confessionale nell’identificazione dei cittadini, come chiedono “anche diverse personalità laiche musulmane”. Al riguardo, mons. Warduni illustra due esempi: nel primo caso, il fatto che i figli minorenni (cristiani) di padre o madre che si converte all’islam, diventano essi stessi musulmani. E solo a 18 anni possono decidere se tornare a dirsi cristiani. “Dove sono - sottolinea il prelato - in questo caso parità, libertà e giustizia”.

La seconda questione riguarda la possibilità di matrimonio per ragazze di minore età; in alcuni casi possono convolare a nozze anche “bambine di nove anni”. Questo è “inaccettabile”, avverte il prelato, ma vi è una componente in Parlamento che vuole votare per approvare la legge. Nelle ultime settimane si è creato un fronte nel Paese costituito da donne, attivisti, personalità della cultura e della religione che si battono con forza per la cancellazione di una norma “vergognosa”.

Infine, il prelato torna sulla drammatica contrapposizione in atto nelle ultime settimane fra Baghdad ed Erbil, fra il governo centrale e la regione autonoma curda che ha investito anche i cristiani, ostacolando il ritorno nelle case tanto auspicata dopo la cacciata dell’Isis. “Noi cristiani siamo elemento di equilibrio - sottolinea il prelato - e vogliamo che tutte le componenti del Paese operino per la riconciliazione. Tuttavia, vi è chi continua ad agire per interessi, per denaro e non va bene. Questo nuovo fronte di violenze fra arabi e curdi rischia di innescare un nuovo, massiccio esodo fra i cristiani già segnati dalla guerra e dalla barbarie dell’Isis”.(DS)

 

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