Mons. Han Lim Moon: il vescovo coreano che predica dall’America Latina (VIDEO)
I video con le sue omelie in spagnolo ottengono una media di 100mila visualizzazioni a settimana. Il prelato prende a cuore la richiesta del Vangelo di predicare a tutti, perché Cristo “cambia la vita di chi lo riceve nel proprio cuore”. Un ponte tra cultura asiatica e latinoamericana. Il suo rapporto con papa Francesco. “Con la pandemia stiamo tornando alle basi: la vita”.
Buenos Aires (AsiaNews) – Mons. Han Lim Moon si sente tanto asiatico quanto latinoamericano e vuole raggiungere con la sua predicazione tutte le culture. È vescovo in Argentina, dove è arrivato 44 anni fa dalla Corea del Sud. I video con le sue omelie in spagnolo, sottotitolati in sei lingue, ottengono una media di 100mila visualizzazioni a settimana. Conosce molto bene papa Francesco ed è uno dei fondatori dell'Associazione dei missionari coreani in America Latina.
Il prelato prende a cuore la richiesta del Vangelo di predicare a tutti, perché è convinto che Cristo cambi la vita di chi lo riceve nel proprio cuore. Un gruppo di amici di diversi Paesi traduce le sue omelie in inglese, italiano, portoghese, francese e coreano; i video sono pubblicati su Facebook e sul suo canale YouTube.
Come il profeta Geremia, mons. Han si sente chiamato da Dio fin da prima della sua nascita. A 12 anni entra nel seminario dell’arcidiocesi di Seoul, vicino a Suwon, dove è nato. A 21, dopo aver studiato fino al terzo anno della facoltà di teologia, si trasferisce con la famiglia in Argentina. Quattro mesi dopo il suo arrivo, entra nel seminario di Buenos Aires dove, con grande impegno, riesce a superare una delle più grandi difficoltà della sua vita: studiare teologia in spagnolo, senza conoscere la lingua. Impiega un po’ più di tempo degli altri, ma alla fine viene ordinato sacerdote nel 1984. Si laurea all’università cattolica di Argentina con una specializzazione in teologia pastorale, e poi anche in teologia spirituale all'università Gregoriana di Roma.
Mons. Han ha imparato così bene la lingua, e si è immerso così tanto nella cultura dell’America Latina, che riceve sempre una grande accoglienza nei luoghi in cui si reca. Più di una volta le sue omelie o le sue conferenze sono state interrotte o coronate da continui applausi. “Sono un ‘animale raro’ in America Latina perché non hanno mai visto un vescovo coreano”, dice umilmente. E aggiunge: “Se Dio mi ha messo qui, forse è per servire da collegamento tra la cultura asiatica e quella latina”.
Questo stesso desiderio lo ha portato, poco più di 20 fa, a diventare uno dei fondatori dell'Associazione dei missionari coreani in America Latina che, con il riconoscimento della Conferenza episcopale coreana, riunisce oggi circa 130 religiosi del Paese asiatico e si riunisce ogni anno.
Mons. Han Lim Moon conosce bene papa Francesco e fa notare che la più grande comunità coreana in Argentina si trova a Flores, un quartiere di Buenos Aires dove è nato e cresciuto Jorge Mario Bergoglio, e dove è tornato come vescovo. “I coreani lo invitavano ai loro eventi e lui vi partecipava sempre”, racconta. Per il vescovo coreano, questo affetto per i suoi ex vicini può aver influenzato la decisione di Francesco di compiere il suo secondo viaggio lontano da Roma proprio in Corea del Sud.
Il vescovo Han ha incontrato Bergoglio negli anni 90’, quando ha chiesto al futuro pontefice il suo assenso per permettere alle servitrici della Sacra Famiglia di Seoul di assistere i malati in un ospedale di Buenos Aires dove egli era cappellano. Di quell’incontro, mons. Han ricorda un curioso aneddoto. Bergoglio aveva pregato santa Teresa di Calcutta di aiutarlo nella decisione sulle suore coreane, e quando queste arrivarono, e l’attuale papa celebrò una messa di ringraziamento, trovò una rosa bianca nel tabernacolo. Lo prese come un segno della santa che la sua decisione era giusta.
Dal 2014 mons. Han è vescovo ausiliare della diocesi di San Martin, una delle zone della capitale più colpite dal coronavirus. “Questa pandemia – egli spiega – è una disgrazia per tutta l’umanità. Però può diventare un’opportunità di conversione personale e sociale, un cambiamento profondo verso ciò che è più essenziale. Per esempio, mi prendo cura più che mai di mia madre, che ha 89 anni, e di mio fratello, che è malato. Stiamo tornando alle basi: la vita".
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