Mons. Dao: Più difficile essere vescovo in Europa che in Vietnam
Mons. Duc Dao è il quinto vescovo di Xuân Lôc. Fino a maggio 2016 è stato vescovo ausiliare e rettore del Seminario maggiore, che oggi ha più di 450 seminaristi. È anche rettore del nuovo Istituto cattolico del Vietnam. Nella diocesi di Xuan Loc, eretta il 14 ottobre 1965 dall'arcidiocesi di Saigon, la fede cattolica è molto diffusa grazie ad oltre 1,1 milioni di fedeli, circa un terzo della popolazione. Ciò è dovuto in parte ad un massiccio afflusso di cattolici del Nord dopo il 1954. Ad oggi, la diocesi conta 250 parrocchie, gestite da 500 sacerdoti, ed è animata anche da 447 religiosi e 1810 religiose.
Hanoi (AsiaNews/EdA) – Mons. Joseph Dinh Duc Dao (foto), vescovo di Xuân Lôc, è nato il 2 marzo 1945 nella diocesi di Bui Chu, nel Vietnam del Nord, e nel 1954 ha seguito l'esodo che ha portato la sua famiglia nel sud del Paese. All'età di 19 anni è entrato nel Seminario maggiore di San Giuseppe a Saigon. L'anno seguente, egli è stato mandato a Roma, presso l'Istituto per la Propagazione della Fede. Mons. Dao stato ordinato sacerdote all'età di 26 anni, il 27 marzo 1971; ha ottenuto un dottorato in Teologia morale presso l'università redentorista Alfonsianum ed uno in Missiologia all'Università Gregoriana. A Roma, egli ha diretto il Centro internazionale per l'animazione missionaria. Infine, è stato per dieci anni direttore dell'Ufficio di coordinamento per la pastorale dei vietnamiti all'estero. Nel 2009, è tornato nella diocesi di Xuân Lôc, dove è stato nominato rettore del seminario maggiore. Quattro anni dopo, nel febbraio 2013, è stato nominato vescovo ausiliare della diocesi.
Nel contesto del suo vescovato, il seminario si impone in modo concreto...
Il nostro seminario è quello con il maggior numero di seminaristi in tutto il Vietnam. Abbiamo 454 seminaristi di undici diocesi, metà dei quali provenienti da Xuân Lôc. Nell'intero Paese, abbiamo circa 2mila seminaristi per otto seminari maggiori. La nostra diocesi fu fondata nel 1965 dall'arcidiocesi di Saigon. Su circa 3,5 milioni di persone, vi sono oltre un milione di cattolici, un terzo della popolazione. Per la cronaca, siamo più numerosi di Saigon, che conta circa 700mila cattolici. La nostra diocesi ha accolto molti fedeli immigrati: nel 1954, quelli provenienti dal Nord; quelli dal Centro nel 1972; infine, dopo il 1975, quanti sono giunti da ogni parte del Paese, a causa della fertilità del nostro territorio. In realtà, sono i cattolici locali che si sono integrati con i migranti. Abbiamo costruito una tradizione religiosa comune. Io sono del nord...
Come si manifesta oggi questa differenza tra Nord e Sud del Vietnam?
Possiamo vedere che le persone nel Nord e nel Centro sono più “combattive” rispetto a quelle del Sud. Questo perché abbiamo dovuto lottare per preservare la nostra vita, le nostre identità. Sia nella vita di tutti i giorni che nella vita della Chiesa, la gente del Sud ha vissuto a lungo con maggiori libertà. Le vocazioni che abbiamo qui provengono spesso da famiglie del Nord.
Quali sono i suoi rapporti con le autorità?
Durante la guerra, la Chiesa ha cercato di servire le persone, mantenendo un equilibrio. Dal 1975, ha cercato di essere accettata, di entrare nella società governata dai comunisti. Oggi, almeno in apparenza, siamo accettati. Cerchiamo di vivere insieme, di servire la società con spirito missionario. Oggi i cattolici sono considerati un gruppo come gli altri. Il nostro legame con Roma non è vissuto come un tradimento, un pericolo politico. Viviamo un'evoluzione sempre più favorevole all'evangelizzazione. Ma dobbiamo sempre essere cauti nell'azione... Che il regime sia comunista o capitalista, siamo chiamati ad essere testimoni fedeli di Gesù Cristo. La mentalità della lotta non è quella della Chiesa. Dobbiamo semplicemente annunciare il Vangelo di Cristo, fonte di gioia e riconciliazione. Nel complesso, la Chiesa del Vietnam è percepita come un fattore di riconciliazione, soprattutto a causa della nostra presenza tra i più deboli.
La Chiesa cattolica non soffre più dell’essere assimilata ad una potenza straniera?
Un equivoco, che a lungo ha identificato i cattolici con l'occupazione delle potenze occidentali, ha reso difficile l'evangelizzazione. È vero che l'identità confuciana del sistema imperiale potrebbe equiparare la conversione al cristianesimo con il tradimento. La Francia ha usato questa identità, molto stretta, complicando la situazione mentre difendeva i perseguitati. Inoltre, la nostra mentalità tende a considerare tutte le religioni allo stesso modo. Ma per noi Gesù è un assoluto: dobbiamo sceglierlo.
Come si immagina il futuro della sua diocesi?
La nostra diocesi sta urbanizzando sempre di più. Ma la vitalità della fede è ancora lì. Da voi, in Europa, la fede è idee. Qui, la fede è vita. Di sicuro il vento della secolarizzazione, che porta la seduzione della ricchezza, soffia in tutto il mondo. Ma in Europa, la secolarizzazione porta con sé la lotta contro l'autorità della Chiesa, che non è il caso qui. Da noi, la secolarizzazione, se mira all'acquisizione di ricchezza, non è né contro Dio né contro la Chiesa. In un certo senso, la Chiesa è perseguitata in Europa come in Vietnam. È più difficile essere vescovi o sacerdoti in Europa che in Vietnam! Qui, se siamo attaccati, la comunità ci difende. La Chiesa è come una famiglia di Dio. Questo concetto di famiglia determina le relazioni tra le persone per tutta la vita.
Come vede il futuro delle vocazioni?
Abbiamo ancora molte vocazioni, ma vediamo alcuni segni di declino, a causa della vita materiale più facile, della seduzione esercitata dalle ricchezze disponibili. Ma sono sempre la parrocchia e la famiglia a sostenere le vocazioni. Nella nostra cultura, la religione è un retaggio della persona, della famiglia.
Lei è il rettore del nuovo Istituto cattolico del Vietnam. Cosa si aspetta?
L'Istituto cattolico è una realtà nuova, che ha solo tre anni. Abbiamo iniziato con una cinquantina di studenti, che oggi sono in totale 120. È una vera sfida per noi: si tratta di trovare e formare insegnanti, creare una biblioteca... È un vero bisogno di esprimere la maturità della Chiesa. Certo, la devozione è molto forte nella nostra Chiesa, ma dobbiamo anche riflettere su questa vitalità della fede, approfondirla, esprimere anche la fede come un'idea... ma non come in Europa! Dopo le guerre, il comunismo, è giunto il momento di sviluppare ciò che non abbiamo sviluppato prima. Perché tutti i Paesi sono esposti a tutte le correnti di idee: dobbiamo incoraggiare i nostri sacerdoti, i nostri fedeli, a pensare di più. La tradizione da sola non è abbastanza. Dobbiamo entrare in dialogo con i movimenti culturali, con le istituzioni culturali contemporanee, dedicarci alla ricerca. Gli attori della pastorale non hanno tempo per questo. La vita è cambiata, allo stesso modo anche la nostra “fede pastorale” deve cambiare. Dobbiamo essere in grado di domandarci: perché siamo cattolici?
26/04/2018 14:05
18/01/2021 10:52