25/10/2018, 14.31
VATICANO-ARMENIA
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Mons. Barsamian: Chiesa armena sempre vicina al suo popolo

di Bernardo Cervellera

Un’intervista al rappresentante della Chiesa apostolica armena presso la Santa Sede, in occasione della visita di Karekine II a papa Francesco. Un dialogo teologico fra Chiese sempre più vicine. La collaborazione pastorale in America e in altre regioni. La storia di una Chiesa che ha determinato l’identità nazionale, anche sotto i genocidi in Turchia e nell’Urss. La carenza di clero è uno dei problemi più cocenti.

Città del Vaticano (AsiaNews) - Ieri, 24 ottobre, Il patriarca Karekine II della Chiesa apostolica armena ha incontrato papa Francesco (foto 1 e 2). Di recente, in aprile, egli era a Roma per la benedizione e lo svelamento della statua di San Gregorio di Narek nei giardini vaticani. Non vi è comunicazione ufficiale sui contenuti dell’incontro. In via ufficiosa, si può dire che essi hanno discusso di varie questioni, fra cui come dare sostegno ai cristiani in Medio Oriente.

Per sostenere e rafforzare i rapporti di amicizia tra il Vaticano e Etchmiadzin, la sede del patriarcato armeno, da alcune settimane sarà presente in modo stabile in Italia, mons. Khajag Barsamian (foto 3). L’arcivescovo, 67 anni, già primate della Chiesa apostolica armena in America, è ora rappresentante della Chiesa apostolica armena presso la Santa Sede e legato della Chiesa armena nell’Europa occidentale. In tutta l'Italia ci sono circa 7mila fedeli armeni, sparsi tra Milano, Roma, Bologna, Venezia, Firenze.

AsiaNews ha incontrato mons. Barsamian, che ha concesso la seguente intervista.

 

Eccellenza come procede il rapporto fra voi, la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse?

Dal punto di vista teologico, abbiamo dei dialoghi e in essi discutiamo su temi quali l'Eucarestia, le ordinazioni, i sacramenti. Non ci sono differenze sostanziali. Una delle differenze più evidenti è ovviamente quella sul primato del papa in quanto capo della Chiesa. Che va studiata e compresa. Papa Francesco, quando è venuto in Armenia ha dichiarato che “unità è dove uno non è più in alto dell’altro”.

In tema di discussioni teologiche, notiamo che non ci sono grandi differenze. A volte nella famiglia delle Chiese orientali ortodosse esistono delle differenze, ma esse non sono d'ostacolo alla nostra unità. Allo stesso modo, nella storia alcuni teologi cattolici consideravano la Chiesa armena come monofisita, ma quando si studiano i testi armeni del V secolo, gli inni, vediamo come fra gli armeni venivano accettate le due nature di Cristo: umana e divina.

Dal punto di vista pastorale, per esempio negli Stati Uniti, esiste un forte dialogo tra cattolici e orientali. Io ero il presidente della Chiesa armena in America, e nella pastorale avevamo buoni rapporti. In caso di matrimonio, se la coppia era cattolica e il rito avveniva in una chiesa cattolica, noi accettavamo di partecipare ai sacramenti cattolici. 

Parliamo dell'Armenia: che relazione c’è fra la Chiesa e il suo popolo?

La Chiesa armena è una Chiesa del popolo, quindi una Chiesa nazionale. Non nazionalistica, ma nazionale. La fede fa parte dell'identità armena, come quando nel V secolo, il re persiano sassanide voleva forzare gli armeni a rinnegare la loro fede cristiana e abbracciare lo zoroastrismo, il generale Vardan [Mamikonan] gli rispose: "La fede è parte della nostra pelle, non possiamo cambiarla". Ed essi combatterono, divennero martiri ma non mollarono. Sempre nel V secolo, vi è la cosiddetta Età d’oro, quando i monaci crearono l'alfabeto armeno…. La nostra cultura, l'architettura, la musica e tutto il resto sono basati su Cristo.

La fede è parte dell'identità armena, quindi in caso di mancanza di regno o di guida politica, la Chiesa è la forza di guida. Per esempio, durante il periodo della diaspora negli Stati Uniti, i cristiani armeni sono rimasti tali grazie alla Chiesa. In ogni parrocchia c'è una sala dove vi sono programmi culturali, corsi di catechismo, incontri per i giovani, dove viene insegnata la fede, ma anche l'identità.

Tutto questo ha resistito anche durante il genocidio?

Durante il genocidio, abbiamo perso molto. Prima del genocidio in tutto il mondo c'erano 6mila sacerdoti armeni. Durante il genocidio [turco], 4mila di loro sono stati massacrati. Poi in Armenia è arrivato il comunismo, che ha ucciso circa 2mila sacerdoti. Questo ha creato un vuoto: il 98% della leadership spirituale è stata distrutta. E va detto che i comunisti hanno fatto peggio dei turchi perché i turchi uccidevano solo il corpo, ma i comunisti hanno distrutto anche lo spirito. 

Faccio un esempio tratto dalla mia esperienza. Io sono nato in Anatolia, nella parte centrale della Turchia. Mia nonna era incinta di tre mesi quando una notte essi vennero e presero suo marito e tutti gli uomini. Quando nacque mio padre, non c'erano chiese. Ma lui era solito dire: "Mia madre mi ha fatto da madre e da padre". Io sono nato ad Arapkir, dove non c'era alcuna chiesa: tutte e sette erano state distrutte, ma io e mio fratello abbiamo imparato a pregare da mia nonna.  La Chiesa era in casa. Perciò quando ci siamo trasferiti a Istanbul, è stato molto naturale per noi iniziare fin da subito ad andare in chiesa. Io sono sacerdote grazie a mia nonna, perché lo spirito [del cristianesimo] era lì.

I comunisti non solo distruggevano le chiese e annientavano il clero: essi insegnavano ateismo nelle scuole contro la Chiesa, la fede, Cristo. In ogni curriculum [scolastico] la fede era messa da parte.

E quando l’Armenia ha scelto l’indipendenza dall’Urss nel 1991?

Quando abbiamo ottenuto l'indipendenza, l'Armenia era in subbuglio. Era un momento denso di sfide, e ancora una volta in prima linea, la Chiesa ha offerto grande supporto. Nella nostra diocesi abbiamo subito creato un fondo per dare sostegno agli armeni e io personalmente ho siglato un accordo con il governo americano per portare aiuto con 10 milioni di dollari. Ho parlato con il Dipartimento di Stato e ho detto che gli armeni avevano bisogno di aiuto.

Al presente il fondo per l’aiuto agli armeni ha donato 315 milioni di dollari per progetti di sviluppo, in campo medico, agricolo, educativo e in varie altre aree. La Chiesa ha offerto il suo sostegno a orfani, bambini, ecc. E questo da parte di una sola diocesi, quella in America, ma di certo anche altre hanno contribuito. 

Ci sono ancora diverse sfide. La prima è che in tutti il mondo il clero armeno è composto solo da 815 membri. Questo numero non basta, pertanto in Armenia sono stati aperti nuovi seminari. Sua Santità il Katolikos sta ponendo grande enfasi su questo aspetto, e sta mandando molti giovani sacerdoti a studiare in università, soprattutto quelle cattoliche, in particolare a Roma, Parigi, in Europa e negli Stati Uniti. Alcuni di questi sacerdoti sono già tornati e ora sono diventati professori nei seminari. In tal modo si preparano le generazioni più giovani. 

Un'altra sfida è sull'educazione cristiana: per questo il Katolikos ha firmato un accordo con il governo affinché nelle scuole pubbliche si insegni storia della Chiesa armena. Su indicazione dell’Unione europea, a scuola non si può insegnare religione, ma si può insegnare storia. Così le nuove generazioni possono imparare qualcosa sulla Chiesa armena. I testi religiosi vengono redatti da Etchmiadzin, come pure gli insegnanti per questi corsi.

Da parte di Etchmiadzin sono state anche create organizzazioni giovanili, programmi televisivi che parlano di catechesi, film, vari programmi per comunicare la fede alle persone. 
Dal puto di vista economico qual è la situazione del Paese?

Il problema principale è che le frontiere sono ancora chiuse con la Turchia e l'Azerbaijan. Invece, quelle con la Georgia e l'Iran sono aperte. L'Armenia cerca di mantenere un buon equilibrio nei rapporti con l'occidente, l'Unione Europea e gli Stati Uniti, ma anche con Mosca, perché la situazione lo impone.

Io stesso ho cercato di creare dialogo con la Turchia perché ritengo che l'apertura delle frontiere potrebbe migliorare l'economia. Durante la presidenza di Abdullah Gül c'erano molte più possibilità; ora con Erdogan è diverso. Quando il Santo Padre Francesco si è recato in visita in Armenia nel 2016, avevo suggerito al card. Pietro Parolin che il papa potesse recarsi anche in Turchia, attraversando la frontiera fra i nostri due Paesi. Ma i turchi non hanno acconsentito.  Con le frontiere chiuse, non ci sono molte possibilità per il libero mercato. Credo comunque che alla fine in Turchia qualcosa di buono stia accadendo: c’è uno sviluppo a piccoli passi.

In Armenia, mesi fa vi è stato un cambio di governo, manifestazioni di giovani: sono tutti segnali buoni. Questo significa che il precedente governo - con tutti i problemi che aveva - è stato in grado di dare alle nuove generazioni la libertà di iniziare a pensare liberamente. Ciò è positivo, e non è automatico. Per esempio, una cosa simile non avviene in Azerbaijan.

Quali le sfide principali della Chiesa armena nell'evangelizzazione?

Una delle principali sfide, ancora una volta, riguarda le persone: i giovani ormai hanno una mentalità aperta, ma gli anziani hanno una mentalità sovietica. La Chiesa sta vivendo questo processo: durante la dominazione sovietica, il clero non aveva il permesso di evangelizzare, di andare fuori ad annunciare come ha detto Gesù. Essi aspettavano che arrivassero le persone per il battesimo, le cresime e tutto il resto. Ora invece ci sono nuovi sviluppi: il clero va fuori, dalle persone, e anche le persone sanno che i sacerdoti possono andare da loro. È qualcosa che sta avvenendo, ma occorre più tempo affinché continui ad avvenire. 

È anche importante la collaborazione tra sacerdoti e laici. Per esempio, nella mia diocesi americana, religiosi e laici collaborano insieme per portare avanti la missione a livello diocesano e all'esterno, nelle assemblee, nei consigli parrocchiali. Anche i laici erano coinvolti, non sono i preti a fare tutto. Questo processo sta avvenendo anche in Armenia e Sua Santità Karekine II sta spingendo molto per questo.

Un’altra sfida è la mancanza di clero.  In ogni città, comunità o villaggio c'è bisogno di un pastore, un sacerdote che possa prendersi cura dei bisogni spirituali delle persone. Per esempio, negli Stati Uniti, l'85% del tempo dei sacerdoti viene speso per la cura pastorale: visite, assistenza, organizzazione, celebrazioni, liturgia. E anche per il restante 15%, i bisogni sono pastorali.  Questa è un'altra necessità e rispecchia la visione di Sua Santità il Katolikos. Ma c'è bisogno di tempo. Da parte loro i laici aiutano anche nell’amministrazione delle diocesi.

Infine vi sono programmi per la cura degli orfani, ospedali, incontri per consigliare come la Chiesa può aiutare le persone ad avviare un'impresa, anche piccole imprese. 
Dal punto di vista dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, devo dire che nel nostro Paese ci sono villaggi curdi e musulmani che sono molto liberi. Poi vi sono villaggi russi, georgiani, siriani e persino una comunità ebraica con la Sinagoga. Non ci sono problemi di alcun tipo. Anche a Yerevan c'è un'antica moschea, che di recente è stata restaurata, credo ad opera degli iraniani. 

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