Monaco birmano: il popolo non subirà il voto "farsa" e i brogli della giunta
Yangon (AsiaNews) - "Tutta la popolazione birmana appare avvilita e per nulla interessata alle elezioni che si sono appena svolte". È quanto riferisce ad AsiaNews Ashin Panna Siri, monaco buddista fuggito dal Myanmar nel 2008, dopo aver trascorso un anno in prigione. Oggi vive in India e boccia senza riserve il voto "farsa" voluto dai militari, che dovrebbe portare la democrazia nel Paese. "Meno della metà della gente ha espresso la propria preferenza - aggiunge - e i militari sapevano che il popolo non si sarebbero recate alle urne. Per questo hanno raccolto i voti prima delle elezioni". Intanto i servizi di sicurezza birmani hanno avviato i preparativi per la liberazione di Aung San suu Kyi, la leader dell'opposizione da 18 mesi agli arresti domiciliari, che dovrebbe avvenire il 13 novembre prossimo.
Ashin Panna Siri, del monastero di Mandalay,è stato rinchiuso per sette mesi nel campo di prigionia di Monywa per aver partecipato alla rivolta dei monaci nel settembre 2007. In seguito le autorità lo hanno trasferito a Mizoram, nei pressi del confine con l'India, dove è riuscito a fuggire. Oggi vive a New Delhi e denuncia senza mezzi termini gli abusi del regime, partendo dalle elezioni dello scorso fine settimana. I partiti vicini alla dittatura militare hanno rivendicato una "schiacciante vittoria" alle prime elezioni generali in oltre 20 anni. I movimenti di opposizione denunciano brogli e annunciano "una manifestazione unitaria di piazza" da tenersi nei prossimi giorni.
I risultati ufficiali del voto del 7 novembre, riferisce la giunta, dovrebbero essere diffusi entro una settimana, ma lo Union Solidarity and Development Party (USDP) - vicino ai vertici dell'esercito - afferma di aver conquistato 37 distretti elettorali su 45 nella sola Yangon. Un trionfo sul quale pesano accuse di frode e brogli, come conferma ad AsiaNews Ashin Panna Siri: "Non possiamo accettare questo risultato, perché è unilaterale e ingiusto. Non vi sono state parità di trattamento e imparzialità". Egli illustra il ruolo dei monaci buddisti nella ex-Birmania, che "non possono partecipare alle elezioni, come candidati o elettori", ma di certo "sono in grado di mobilitare l'opinione pubblica, provocando le ire della giunta". Per questo i militari, all'indomani della Rivoluzione zafferano del 2007, hanno iniziato "a monitorare le comunicazioni in ingresso e uscita dai monasteri", cercando di "impedire la diffusione di informazioni".
Ashin invita i confratelli ad "alleviare le sofferenze della popolazione" birmana, anche se i monaci non possono ricoprire un ruolo attivo nella politica del Paese e restano soggetti ad "arresti arbitrari e sono forzati al silenzio". Egli sottolinea che i monaci possono ricoprire un ruolo nel processo di cambiamento del sistema Paese, basato sul controllo dei militari, e auspica la ripresa dell'accordo di Panglong. Sottoscritto il 12 febbraio del 1947 fra il generale Aung San - eroe dell'indipendenza e padre di Aung San Suu Kyi - e le minoranze etniche Shan, Kachin e Chin, esso garantiva autonomia interna agli Stati, nel quadro di una collaborazione a livello finanziario e unità del Paese. "Dopo l'assassinio del generale Aung San - afferma il monaco - l'accordo di Panglong è stato interrotto bruscamente. Stiamo cercando di organizzarci con i leader dei gruppi delle minoranze, per far rivivere l'accordo". Egli aggiunge infine un secondo elemento, che definisce "molto importante": "Chiediamo il rilascio di Aung San Suu Kyi, dei monaci arrestati, delle monache e di tutti i prigionieri politici".
Intanto i servizi di sicurezza birmani hanno avviato i preparativi per il rilascio di Aung San Suu Kyi, i cui termini degli arresti domiciliari scadono nei prossimi giorni. La liberazione della Nobel per la pace dovrebbe avvenire entro il 13 novembre, ma l'ultima parola spetta al generalissimo Than Shwe, capo della giunta e padre padrone del Myanmar. Un responsabile dell'ordine pubblico, in condizioni di anonimato, conferma che "vi sono delle disposizioni in materia, ma la decisione finale non è stata ancora presa". La donna, che ha trascorso 15 degli ultimi 21 anni agli arresti, ha già fatto sapere attraverso i suoi legali che non accetterà "condizioni" sulla sua liberazione. Nyan Win, avvocato di Aung San Suu Kyi, spiega che la sua assistita "va rilasciata il 13 novembre, perché è il giorno in cui scadono i termini di carcerazione", e il rilascio deve essere "privo di condizioni" perché non tollererà "limitazioni alla propria libertà personale, come avvenuto in passato".
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)