Molte ombre e qualche luce sulla missione di Mitchell
Cammino difficile per l’inviato speciale degli Stati Uniti, a Gerusalemme nel tentativo di far ripartire i colloqui di pace. I palestinesi continuano a chiedere il blocco degli insediamenti, ma Netanyahu ha già detto che a Gerusalemme continueranno. Ma il Dipartimento di Stato: “non andiamo a incontrarci giusto per incontrarci”.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - “Non ci sarà un congelamento delle edificazioni a Gerusalemme est”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito così, seccamente, la posizione del suo governo sulla questione che ha provocato una tensione senza precedenti con gli Stati Uniti. “La nostra politica su Gerusalemme – ha aggiunto – non combierà. Non è la mia linea politica, è quella di tutti i miei predecessori fin dal 1967.
L’affermazione del premier israeliano è stata fatta ieri, parlando alla televisione del suo Paese, alla vigilia dell’arrivo dell’inviato speciale per il Medio Oriente degli Usa, George Mitchell. Che già oggi ha visto il ministro israeliano della difesa Ehud Barak (nella foto) e ha in programma di vedere lo stesso Netanyahu e il presidente palestinese Mahmoud Abbas.
Malgrado tale premessa, la missione di Mitchell non è, secondo gli americani, priva di senso. Secondo il Dipartimento di Stato “non andiamo a incontrarci giusto per incontrarci. Andiamo perché abbiamo indicazioni che entrambe le parti hanno la volontà di impegnarsi”.
Intanto continuano a fare pressioni su Israele. Dal punto di vista ufficiale, il portavoce del Dipartimento di Stato, Philip Crowley ha dichiarato di “capire che Israele ha una posizione di lungo periodo”, ma ha aggiunto che “lo status quo è insostenibile”, ripetendo così una frase del segretario di Stato Illary Clinton. Al tempo stesso, si infittiscono le prese di posizione non ufficiali. L’ex ambasciatore statunitese in Israele, Martin Indyk, considerato vicino allo stesso Mitchell, nei giorni scorsi in un articolo pubblicato sul New York Times ha scritto che “con 200mila soldati americani impegnati in due guerre in Medio Oriente e con il presidente degli Stati Uniti che guida il maggiore sforzo internazionale per bloccare il programma nucleare iraniano, risolvere il conflitto iraelo-palestinese è divenuto per gli Usa un imperativo strategico”. Il Washington Post, a sua volta, ha citato un anonimo alto funzionario per dire che l’amministrazione sta pensando a un suo piano di pace, qualora palestinesi e israeliani proprio non riuscissero a trovare un accordo.
La missione di Mitchell parte dunque di qui e, secondo quanto scrive oggi l’israeliano Haaretz, Netanyahu sta pensando ad un accordo provvisorio che comprenderebbe la creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania, con confini temporanei. Di “concessioni” israeliane per scongelare i rapporti con gli Stati Uniti ha parlato anche il Wall Street Journal, secondo il quale esse comprenderebbero un allentamento del blocco di Gaza, il rilascio di prigionieri, il congelamento per due anni delle costruzioni di Ramat Shlomo, a Gerusalemme est e disponibilità a discutere di confini e status di Gerusalemme.
I palestinesi, da parte loro, chiedono di “dare alla pace una opportunità”. Saeb Erekat, il capo negoziatore palestinese, ha espresso appoggio alla missione dell’inviato americano. “Il presidente Obama e il senatore Mitchell – ha detto – debbono offrire una opportunità”. Ma, ha aggiunto ciò accadrà se convinceranno Israele “a dare una possibilità alla pace”. Quanto a Mitchell “spero che abbia la giusta formula per riprendere i colloqui indiretti, bloccando gli insediamenti israeliani”. E’ la questione sulla quale si sono infranti i precedenti tentativi. E anche stavolta Netanyahu ha detto “niente precondizioni”.
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