14/10/2024, 12.42
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Missioni di pace: gli asiatici al primo posto per numero di soldati

Le vicende legate all'Unifil hanno riacceso i riflettori sui contributi che i vari Paesi versano alle operazioni di peacekeeping. Solo Nepal, India e Bangladesh hanno inviato all'estero poco più di 16mila soldati. Mentre alle spese, in base a dati di tre anni fa, contribuiscono per la maggior parte Stati Uniti, Cina e Giappone. 

Milano (AsiaNews) - Gli attacchi israeliani contro la missione Unifil (United Nations interim forces in Lebanon) hanno riportato l’attenzione sugli interventi di peacekeeping delle Nazioni unite e sul contributo che ogni Paese versa alle singole missioni. I cinque soldati rimasti feriti provengono dallo Sri Lanka e dall’Indonesia, quest’ultimo presente in Libano con circa 1.200 soldati, il contingente più numeroso, seguito poi dall’Italia.

Sono infatti i Paesi asiatici e poi quelli africani a contribuire in misura maggiore in termini di truppe e forze di polizia, mentre gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei, insieme alla Cina e al Giappone, collaborano prevalentemente a livello economico. I peacekeepers sono pagati dai propri governi, a loro volta rimborsati dalle Nazioni Unite a un tasso standard stabilito dall'Assemblea generale (circa 1.428 dollari al mese per soldato).

I dati delle Nazioni unite sulle missioni di mantenimento della pace (sono 11 quelle attive oggi, che nel 2024 costano poco più di 6 miliardi di dollari), evidenziano che, fino a luglio di quest'anno, solo il Nepal, l’India e il Bangladesh hanno inviato all’estero circa 17.500 persone, di cui poco più di 16mila sono soldati. Oltre alle truppe, infatti, alle missioni partecipano anche il personale di polizia, gli esperti di missione e altro staff di coordinamento, che spesso veste panni civili. 

Al Nepal, al primo posto per numero di soldati e personale con 6.119 cittadini, segue il Rwanda, con 5.876 persone, di cui 4.679 sono militari. La Cina è all’ottavo posto per personale impiegato, con 1.801 cittadini (di cui 1.711 soldati), dietro a Indonesia, Ghana e Pakistan. 

Gli Stati Uniti, al contrario, hanno impegnato solo 25 cittadini, stando ai dati di luglio, la maggior parte dei quali si trovano nella Repubblica Centrafricana (con la missione che prende il nome di Minusca, United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic) e in Sud Sudan (con l’Unmiss, United Nations Mission in South Sudan) in qualità di staff ed esperti di missione. Solo uno tra questi è un membro della polizia, dispiegato ad Haiti con la missione Binuh (dal francese, Bureau Intégré des Nations Unies en Haïti).

Anche l’Australia e il Giappone non hanno personale militare impegnato all’estero. Il Canada ha inviato 9 membri di polizia nella Repubblica democratica del Congo, mentre l’Italia, a parte il contingente di circa mille militari in Libano, ha dispiegato 4 poliziotti a Cipro. Anche la Francia, per esempio, ha impegnato 566 militari nel Paese dei cedri e 2 agenti di polizia in Congo. L’Unifil in tal senso rappresenta una piccola eccezione: per ragioni storiche continuano a essere dispiegati soldati da 50 Paesi, tra cui molti europei, anche se, dopo i contingenti indonesiano e italiano, gli Stati che contribuiscono di più restano India, Nepal, Ghana e Malaysia, e solo poi si piazzano Spagna e Francia, davanti alla Cina. 

Quello di ridurre il numero di militari impegnati in aree di conflitto è un trend in corso da anni nei Paesi occidentali, anche se le operazioni di peacekeeping non prevedono che i soldati si schierino a favore o contro una delle parti in campo, che devono prestare il consenso all'invio di una missione. Al contrario, i mandati Onu prevedono l’ingaggio solo per legittima difesa in caso di attacchi armati diretti. 

A livello di spese, invece, la situazione è ribaltata: secondo dati risalenti al 2020-2021 (le valutazioni sul budget vengono rilasciate ogni tre anni), gli Stati Uniti hanno contribuito alle missioni di pace per il 27%, la Cina per il 15% e il Giappone per l’8%, seguito da Germania (6,09%) Regno Unito (5,79%) Francia (5,61%) Italia (3,30%) Federazione Russa (3,04%) Canada (2,73%) Repubblica di Corea (2,26%).

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