Missionario saveriano: da Goa alle Andamane per diffondere la gioia del Vangelo
P. Pritam Toppo sfx lavora da anni nell’arcipelago situato nel Golfo del Bengala. Ha girato tre parrocchie, servendo la popolazione locale in campo educativo e pastorale. Gli incontri con le tribù armate di frecce. Le notti trascorse nei villaggi di capanne, con i serpenti appesi al soffitto. Tutti – indù, cattolici, musulmani, animisti – “partecipano a gioie e dolori dell’altro”.
Port Blair (AsiaNews) – La gioia di portare il Vangelo alle popolazioni più sperdute dell’India, ma anche le sfide che tale compito comporta, dagli incontri con i tribali armati di archi e frecce ai millepiedi che camminano sul corpo durante la notte trascorsa nelle capanne. È il racconto di p. Pritam Toppo sfx, appartenente alla Società dei missionari di san Francesco Saverio, che da anni lavora delle isole Andaman e Nicobar. Appena è stato ordinato sacerdote a Goa, nella sede dei missionari, è partito per il Territorio indiano situato nel Golfo del Bengala, dove la sua missione continua a essere messa alla prova. Ma tutte queste esperienze, dice ad AsiaNews, “potenziano la gioia e la fede in Gesù Cristo”.
P. Toppo serve la popolazione locale operando in campo educativo e pastorale. La prima destinazione è stata la parrocchia di Campbell Bay, nella Grande Nicobar, l’isola all’estrema parte meridionale dell’arcipelago [che in tutto comprende 572 terre tra isole emerse, isolotti e rocce]. Qui il missionario concelebrava la messa, era la guida pastorale per giovani e bambini.
In seguito è stato assegnato alla casa regionale della congregazione a Port Blair, la capitale del Territorio, dove per un anno ha seguito l’amministrazione della struttura e l’asilo nido. La terza destinazione, quella attuale, è la parrocchia di Rangat [a Smith Island, parte centro-settentrionale dell’arcipelago, ndr].
Questa “missione è davvero difficile – racconta – i mezzi di trasporto sono scarsi, non ci sono automobili o jeep, il trasporto è affidato solo ai mezzi statali”. Gli autobus pubblici sono talmente limitati che quando se ne rompe uno, non ci sono altri sostituti. “È capitato – ammette – che siamo stati costretti a cancellare la messa nei villaggi, perché non sapevamo come raggiungerli. Ma non abbiamo neanche potuto avvertire i capi villaggio perché in quei giorni non c’era nemmeno la linea telefonica”.
Il sacerdote riporta come la missione sia ancora tutta da costruire in queste zone, abitate in prevalenza da popolazioni indigene. “Un giorno stavamo andando in un villaggio lontano dalla parrocchia – dice – per celebrare la messa. Ero insieme a delle suore. Dal momento che non ci sono strade, bisogna percorrere a piedi il tragitto di oltre 10 chilometri che si immerge nella foresta vergine, con fiumi e cascate. Dappertutto ci sono piante urticanti e insetti che succhiano il sangue”.
A metà del percorso, il gruppo ha incontrato una quindicina di indigeni appartenenti alla tribù ostile dei jarawas. “Avevano archi e frecce. Subito ho detto alle suore di togliere il velo e di nascondersi dietro un grande albero. Anch’io ho trovato rifugio dietro un tronco e siamo stati fortunati: hanno proseguito sul loro cammino. Poi siamo usciti dai nostri nascondigli e ci siamo armati di forza e coraggio per raggiungere la nostra destinazione”.
Di fronte ad un mondo che corre dietro alla tecnologia, qui pare che il tempo si sia fermato. Il missionario riferisce che riesce a raggiungere i villaggi più sperduti per dire messa solo una volta al mese. È il caso dell’area abitata in prevalenza da cattolici della tribù Oncnochers. Lì la “chiesa è costruita con il materiale che la foresta offre, con il tetto ricoperto di bambù”. Di solito p. Toppo si ferma a dormire nel villaggio, dove manca la luce elettrica e tutte le attività umane sono illuminate con candele.
Durante le ore che trascorre con la popolazione, tiene corsi di catechismo per i bambini, guida incontri in cui si discute della Chiesa universale e si risolvono questioni legate al matrimonio e al battesimo. Gli incontri durano anche fino alle 11 di sera, e dopo si mangia tutti insieme. Poi “andiamo a dormire, sdraiati su materassini sul pavimento. Sappiamo che tutt’intorno nella foresta ci sono serpenti e millepiedi. Tante volte ho visto i serpenti che dondolavano appesi al soffitto e i millepiedi che mi camminavano sul corpo. Ma questo è il bello della missione”.
Il missionario riporta che oltre alla cura pastorale dei cattolici, i sacerdoti visitano indù, musulmani e animisti e celebrano insieme le festività delle loro tradizioni religiose. “Qui c’è una mini India – conclude – dove tutti partecipano con solidarietà alle gioie e sofferenze dell’altro, a prescindere da casta, fede o lingua”.
12/09/2016 13:17
04/01/2017 13:39