Missionario Pime: un ostello per i giovani cambogiani per scoprire fede, speranza e carità
Phnom Penh (AsiaNews) - “La carità è sempre fonte di speranza, e quando il cuore si apre alla speranza è pronto ad accogliere la fede”. Per p. Mario Ghezzi, sacerdote del Pontificio istituto missioni estere (Pime) da 15 anni in Cambogia, le virtù teologali hanno trovato un risvolto concreto in un piccolo ostello situato in un angolo sperduto del Paese. Una realtà che, da quasi cinque anni e grazie all’opera di una cattolica cambogiana, accoglie decine di ragazzi e ragazze, permettendo loro di studiare. La struttura si chiama “House of hope” e sorge ad Ampau Prey, nella provincia di Kandal, nel sud-est della Cambogia. Il suo capoluogo, Ta Khmau, si trova a soli 20 km a sud della capitale Phnom Penh.
I giovani (nella foto alcuni di loro), circa 35 in totale, provengono dal Lago 94, una delle zone più povere del Paese; una realtà dove non vi sono nemmeno i servizi di base come l’acqua, l’elettricità, le strade. Il villaggio risale ai tempi della dittatura dei Khmer rossi, quando i vertici del movimento rivoluzionario maoista hanno deciso di trasferire nell’area - in cui era sorta in precedenza una diga - circa 150 famiglie. Da allora autorità e governi hanno emarginato, quasi dimenticato la comunità, che solo grazie all’opera di missionari e Ong locali e internazionali ha saputo trovare risorse e mezzi con cui ricostruirsi un futuro, come testimonia la vicenda del giovane Lay.
“L’idea alla base dell’ostello - racconta p. Mario - era quella di far uscire i ragazzi dal villaggio e portarli ad Ampau Prey, per permettere loro di proseguire negli studi”. Difatti il villaggio dispone di un asilo e una scuola elementare, aperta da una chiesa protestante coreana, ma mancavano le classi medie e superiori. Inoltre la scuola elementare “fornisce solo la metà dei programmi scolastici ministeriali, quindi si tratta di una formazione un po’… zoppa!”.
La prima persona che ha creduto nel progetto rivolto ai giovani di Lago 94 è Men Thary, 50enne cambogiana di origine cinese convertita al cattolicesimo e battezzata nel 2007. Sposata e madre di quattro figli, la donna “ha conosciuto il cattolicesimo attraverso l’incontro e la testimonianza delle suore di Madre Teresa” agli inizi degli anni ’90. “È una persona attiva ed entusiasta - racconta il sacerdote - curiosa, propositiva, ma al tempo stesso severa e pretenziosa”. Non si è convertita al cattolicesimo “per convenienza o sbaglio, ma per una convinzione profonda” che ha maturato col tempo, lo studio e l’esperienza. “Ha molto forte - prosegue - il desiderio di condividere la gioia della fede con gli altri attraverso i gesti concreti, nell’esperienza delle cose”.
Per p. Mario l’ostello è una realtà contraddistinta da tre elementi: fede, speranza e carità. “La carità - spiega - c’è e si cerca di trasmetterla ai nuovi arrivati; la fede sta nascendo, ma quello che cambia è che l’esperienza della vita in comunità diventa fonte di speranza nuova”. Alcuni di questi giovani proseguono gli studi e frequentano il liceo, poi l’università; altri, invece, vengono avviati alla formazione professionale per permettere loro di trovare un impiego conclusi gli studi.
“Sono ragazzi semplici - afferma il missionario - di una bontà naturale, ma un forte bisogno di una guida, un riferimento perché rischiano il disorientamento”. In quest’ottica Men Thary rappresenta una “madre di famiglia”, di una severità “che non è comune nei cambogiani” ma che permette ai ragazzi “di tirar fuori il meglio di loro stessi”. Attraverso l’incontro, il confronto e la condivisione dell’esperienza, i giovani, che provengono da un villaggio non cattolico e in cui nemmeno la fede buddista è radicata nel profondo, iniziano a “conoscere la realtà della Chiesa, le attività in cui cerchiamo di coinvolgere i giovani”. “Essi sono immersi in un contesto cattolico - continua p. Mario - che non obbliga, ma propone e fa emergere domande. Ed è questo un aspetto importante, perché le persone non sono solite fare domande, ma colgono e imparano attraverso l’esperienza. E se qualcuno mostra loro un’esperienza comunitaria che porta a gioire, vivere, pregare, lavorare assieme, ecco nascere anche la domanda”.
Dopo anni di presenza, spiega il missionario, “non vi è stato ancora un annuncio esplicito del Vangelo, ma ora è arrivato il momento per farlo. Le nostre iniziative di carità, come la distribuzione di doni e la colletta per i poveri con i giovani della parrocchia, nelle quali coinvolgiamo anche i ragazzi e le ragazze dell’ostello, hanno una ‘ragione’ ed è il momento di annunciare la nostra missione”. Anche perché, conclude, in questi anni alcuni giovani hanno voluto conoscere il Vangelo e la Chiesa, “tanto che quattro di loro lo scorso anno sono stati battezzati”.
02/02/2016 10:58