Missionario Pime: Mons. Destombes “martire bianco” della Chiesa cambogiana
Per p. Mario Ghezzi è scomparso “un santo”, una figura “di cui la nostra Chiesa ha estremo bisogno”. Il vicario emerito “ha dato la sua vita” per il Paese, ricostruendo la comunità cristiana partendo “dalla strada”. Per i sacerdoti e i missionari “era un padre”, un “pastore vero, ma semplice” e nutriva una “passione per la missione”.
Phnom Penh (AsiaNews) - “Il martire bianco della Chiesa cambogiana, morto e rivissuto con il Paese e il suo popolo. Egli è morto quando Pol Pot e i Khmer Rossi hanno fatto il loro ingresso a Phnom Penh nel 1975, espellendolo; ed è rinato quanto, rientrato nella capitale, ha potuto celebrare una grande messa davanti a migliaia di persone”. Così p. Mario Ghezzi, sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), usando “le parole di un giovane cambogiano” descrive ad AsiaNews mons. Emile Destombes, vicario apostolico dal 2001 al 2010, morto ieri all’età di 80 anni. Fra i cattolici (nella foto, un momento della veglia) è grande il dolore per la scomparsa del sacerdote e vescovo della “rinascita” della presenza cristiana nel Paese. “Ieri, mentre ripensavo alla sua vita e alla morte - aggiunge il missionario di origine italiane, in Cambogia da 15 anni - mi dicevo che è morto un santo, una figura di cui la nostra Chiesa ha estremo bisogno”.
L’inizio della missione di p. Ghezzi in Cambogia, nel 2000, ha anticipato di poco la nomina a vicario apostolico di Phnom Penh per mons. Emile Destombes, il pioniere della missione nel Paese dopo le devastazioni sociali, economiche e religiose lasciate dai sanguinari rivoluzionari maoisti. “Egli ha dato la sua vita - spiega il missionario Pime - per l’evangelizzazione in Cambogia. Era un uomo semplice, umile, un testimone del Vangelo, che voleva una Chiesa semplice per i semplici”.
Primo sacerdote straniero a rientrare nel Paese dopo le devastazioni dei Khmer rossi, egli ha ripreso la missione passeggiando lungo le strade di Phnom Penh, nella speranza di poter incontrare qualche cristiano. “Ha ricominciato così - ricorda p. Ghezzi - dalla strada, riunendo i pochi cristiani che ha trovato per celebrare la prima eucaristia insieme”.
“È stato il mio primo vescovo - sottolinea il missionario italiano - e il mio ricordo è quello di un padre, egli dimostrava una vera paternità nel sacerdozio, dal volto umano, oltre che essere profondamente buono e docile. Forse anche per queste sue caratteristiche, che si coniugano con l’animo del Paese, era molto amato dai cambogiani. E poi era duttile, sapeva adattarsi”.
Mons. Destombes era un pastore “vero, ma semplice, che non amava le strutture, le riunioni numerose, ma preferiva relazionarsi con i singoli e le singole comunità, guardando tutti negli occhi”. Egli “cercava l’incontro nella semplicità”, aggiunge il missionario Pime, che spesso in passato ha avuto occasione di pranzare con lui al vicariato. “Amava raccontare della sua vita - prosegue - del suo ritorno in Cambogia… il suo desiderio più grande era quello di vedere una Chiesa unita, un Vangelo che avesse messo le radici nel cuore delle persone, una Chiesa testimone. La comunità cattolica, qui, è ripartita da zero e lo ha fatto con lui”.
“Il suo lascito - afferma p. Ghezzi - è la capacità di adattarsi alla mentalità cambogiana, pur rimanendo sempre molto francese. E ancora, la sua docilità, il suo affidarsi allo spirito, alla provvidenza. Non era un uomo che sapeva o voleva programmare, e questo lo ha aiutato soprattutto nei primi anni, nella fase di ricostruzione della Chiesa”.
Il drammatico incontro con i Khmer rossi è sempre rimasto vivo nella memoria del vescovo, che era sceso in strada ad accoglierli quando hanno fatto il loro ingresso a Phnom Penh. I rivoluzionari maoisti, racconta p. Ghezzi riprendendo le parole di mons. Destombes, “non gli hanno lasciato nemmeno il tempo di prendere il passaporto, portandolo all’ambasciata francese dove, per tre settimane, assieme ad altre 3mila persone non sapeva se sarebbe uscito vivo o morto da quei cancelli”.
Resta infine il rapporto di grande amicizia e rispetto coltivato nel tempo con i missionari. “È sempre stato molto accogliente con noi - conclude il sacerdote Pime - sottolineando a più riprese che fra il Mep e il Pime vi era un rapporto di… cugini! Una passione vera per la missione, che non tutti riconoscono. Era un uomo dalla grande empatia, che ti accoglieva a braccia aperte”.
02/02/2016 10:58