Missionario Pime: In Papua Nuova Guinea ho trovato Gesù
P. Dominic Monto Hasda è il primo sacerdote tribale del Pime. Da tre anni è in missione nella Papua, dove si occupa di protezione dei minori, istruzione, evangelizzazione, diffusione della fede cristiana soprattutto tra i giovani.
Dhaka (AsiaNews) – In Papua Nuova Guinea “ho trovato Gesù”. Lo dice p. Dominic Monto Hasda, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere). Con un passato da infermiere, è stato ordinato sacerdote dal 2015. Da tre anni la sua destinazione missionaria è la Papua, dove presta il suo servizio a scuola, in parrocchia e in ospedale. “Servendo gli altri – afferma – ricevo il doppio, sia in termini di amore che di rispetto. Sono molto felice di essere missionario”.
P. Dominic si trova a Dhaka per un periodo di vacanza. Ritornerà in missione il 2 maggio. Egli è il primo sacerdote tribale dell’istituto Pime in Bangladesh. È il cappellano della Santa Miriam Secondary School e assistente parroco della relativa parrocchia a Watuluma. Si occupa di protezione dei minori, istruzione, evangelizzazione, diffusione dei valori cristiani soprattutto tra i giovani.
A proposito di giovani, racconta: “Quando sono arrivato sull’isola, non mi aspettavo di vedere così tanti uomini e donne che vivono insieme al di fuori del matrimonio. La promiscuità sessuale è molto alta e tra i giovani non è diffuso il sacramento del matrimonio. Sto tentando di cambiare questa tradizione e alcuni hanno capito che non è una buona pratica”.
Integrarsi nel nuovo Paese, ammette, non è stato facile: “Ci sono 800 clan ognuno con la propria lingua e cultura, anche se la lingua più comune è l’inglese. La vita delle persone è molto semplice, ma i costi elevatissimi. Per questo tanti faticano a sopravvivere”. Anche le condizioni geografiche all’inizio lo spaventavano: “La Papua è un’isola e io non so nuotare. Avevo paura dell’acqua. Ero anche intimorito dalla giungla, ma poi quando sono arrivato sembrava di stare in Paradiso! Montagne, acqua pulita, alberi ovunque: sono rimasto affascinato”.
Nonostante sia un Paese a maggioranza cristiana, aggiunge, “non ci sono molte vocazioni religiose. Nella società è comune la pratica del ‘payback’: in pratica i genitori crescono i loro figli e poi si aspettano di essere ripagati, in termini di assistenza e soldi. Questo impedisce a tanti giovani di entrare in seminario fino a quando non hanno restituito il debito. Tale tradizione è un vero ostacolo”.
La carenza di vocazione si traduce in pochi sacerdoti al servizio dei cattolici: “Nella mia area i fedeli sono 4mila, ma oltre a me c’è solo un altro prete, anch’esso missionario”. A proposito della vocazione missionaria, conclude: “In Bangladesh ci sono molte vocazioni, ma di solito i genitori non pensano ai propri figli come a dei missionari. Questo è sbagliato. Anche noi possiamo esserlo e i parenti devono incoraggiarci”.