Missionari: papa Francesco dia ai cristiani bengalesi il coraggio di uscire e annunciare
Il pontefice è atteso a Dhaka dal 30 novembre al 2 dicembre. La speranza è che “l’uomo che giunge da lontano spinga la comunità cristiana ad uscire dalle proprie case e annunciare il Vangelo”. I cristiani bengalesi “siano più missionari tra la gente”.
Dhaka (AsiaNews) – La visita di papa Francesco in Bangladesh “dia alla piccola comunità cristiana il coraggio di uscire dalla propria periferia e rendere la Chiesa davvero missionaria attraverso un’evangelizzazione che non guardi ai grandi numeri, ma alla qualità dell’annuncio del Vangelo”. È quanto sperano due sacerdoti missionari in Bangladesh. Ad AsiaNews raccontano come la popolazione, cristiana e non, ha accolto la notizia del viaggio del pontefice. Se per i cristiani la visita è un “grande riconoscimento della loro fede”, per il resto della popolazione “papa Francesco rimane un personaggio sconosciuto”. Per questo, sottolineano, ciò che sperano è che questo viaggio “spinga i cristiani, in maggioranza tribali, a non essere più chiusi in se stessi, ma diffondere il messaggio di Cristo”.
Papa Francesco è atteso a Dhaka dal 30 novembre al 2 dicembre 2017. In tutto il Paese si stanno svolgendo ritiri di preghiera, celebrazioni liturgiche e preghiere speciali per “preparare lo spirito” a questo grande evento. P. Michele Brambilla, superiore regionale del Pime in Bangladesh, parla delle comunità tribali che abitano il nord del Paese. Egli si aspetta che i cattolici locali “si rendano conto che c’è una Chiesa, che non sono soli, confinati nelle loro diocesi. Al contrario, c’è una Chiesa che va al di là del Bangladesh, composta da tante realtà, a volte anche più sofferenti di quella del Bangladesh”.
Da missionario, continua p. Brambilla, “spero che siano più coraggiosi nella testimonianza del Vangelo. E che escano dalle loro comunità, dalle loro case”. Al nord, spiega, “i tribali rimangono chiusi in se stessi. Manca un’evangelizzazione indiretta: ciò deriva dal fatto che i cattolici santhal [gruppo aborigeno, ndr] utilizzano la propria lingua nella liturgia. Perciò per un musulmano è difficile comprendere cosa stiano dicendo”.
P. Brambilla spera che “essi comprendano che come papa Francesco viene a trovarli, a dare loro speranza, anche i cristiani possono fare lo stesso per la Chiesa bengalese. Non deve essere solo il papa ad ‘uscire’ per andare nella periferia, ma anche le comunità locali devono essere missionarie. Il lavoro non deve essere svolto solo dal missionario o dal prete, ma è la comunità nel suo insieme ad essere evangelizzatrice”. “Io da sacerdote – continua – posso essere il promotore nei villaggi, ma è la gente stessa che deve portare l’annuncio. Deve essere la gente a portare la fede”.
Il superiore regionale fa un esempio: “C’è un piccolo villaggio in cui abitano 15 famiglie cristiane e 50 di altre confessioni. Perché dopo 25 anni le altre famiglie non hanno percepito la bellezza del Vangelo? Perché quella comunità cristiana è fragile e non se la sente di diffondere il cristianesimo. Il motivo è che essi sono attorniati da una maggioranza islamica e hanno timore del fondamentalismo; ma anche perché dire apertamente di essere fedeli di Cristo crea tensioni e divisione nella società tribale”. Alla luce di tutto questo, “la speranza è che il viaggio di papa Francesco possa essere di esempio: un uomo che viene da tanto lontano può spingere a renderci conto che possiamo fare altrettanto nel villaggio vicino”.
Al contempo, p. Franco Cagnasso, ex superiore regionale del Pime in Bangladesh, ritiene che la sfida maggiore sia far conoscere papa Francesco alla maggioranza della popolazione musulmana, che “non sa bene chi sia e cosa venga a fare”. Per dare un’idea della confusione presente tra le persone comuni, riferisce: “Alcuni mi hanno domandato: ‘Il papa è il capo dei cattolici o dei battisti? È il presidente della Repubblica italiana o avete un presidente separato?’. Solo i più istruiti sanno chi è il papa e che storicamente tutti i pontefici hanno sempre parlato di convivenza e dialogo interreligioso. Il fatto che papa Francesco si sia espresso sui profughi Rohingya, depone a suo favore nell’immaginario collettivo”.
Per quanto riguarda le aspettative dei cristiani, afferma, “essi sono curiosi e contenti di poter incontrare il papa. Ma in linea generale non si sa ancora cosa aspettarsi dall’evento e cosa possa portare veramente di nuovo al Paese. Di certo non esistono aspettative precise. La visione comune è di un’attesa positiva, soddisfazione e senso di fierezza per questa visita. Il papa darà visibilità alla comunità e farà capire che in Bangladesh i cristiani esistono”. Quella del Bangladesh, conclude, “è una Chiesa piccola, che tende a chiudersi. Sarebbe bello se il papa riuscisse a dare una spinta di apertura evangelica, non tanto dal punto di vista quantitativo, quanto di coerenza evangelica nella testimonianza”.