Mindanao: rialza la testa il gruppo terroristico Maute
Affiliati allo Stato islamico, si tratta perlopiù di combattenti sopravvissuti alla battaglia di Marawi del 2017, in cui sono morte almeno 1.200 persone. Le autorità militari hanno scoperto un campo d’addestramento e un laboratorio per la fabbricazione di ordigni esplosivi nella foresta di Marogong. A rischio potrebbe esserci anche l'autonomia delle province a maggioranza musulmana.
Manila (AsiaNews) - Il gruppo terroristico Maute, che deve il suo nome ai fratelli che lo hanno fondato nel 2013, sembra rialzare la testa, secondo quanto dichiarato dal comandante della task-force incaricata delle azioni militari, il generale Roy Galido.
Dopo il ritrovamento da parte delle forze armate filippine di un campo d’addestramento e di un laboratorio per la fabbricazione di ordigni esplosivi nella foresta di Marogong, sull’isola di Mindanao, i reparti governativi hanno ampliato il raggio delle operazioni nella provincia di Lanao del Sur, dove si starebbe registrando una nuova campagna di reclutamento.
Il gruppo è responsabile, tra le altre cose, di quella che è stata la più eclatante azione militare della guerriglia islamista nel meridione filippino, ovvero l’occupazione della città di Marawi che, a partire dal 23 maggio 2017, per cinque mesi fu teatro di una battaglia casa per casa tra centinaia di guerriglieri armati del Maute e degli alleati del gruppo Abu Sayyaf. Si stima che persero la vita 1.200 tra civili e combattenti, mentre circa 200mila abitanti vennero fatti evacuare dal centro urbano.
A coordinare la ricostruzione regionale dell’organizzazione, inclusa nell’elenco dei gruppi terroristici nelle Filippine a all’estero, sarebbe Faharudin Hadji Satar, noto anche come Abu Zacariah, “referente” dell’autoproclamato Stato islamico (Isis o Daesh) per l’emirato del sud-est asiatico. Nella provincia di Lanao del Sur, dove i musulmani sono oltre il 90% della popolazione, il Maute starebbe collaborando con un’altra organizzazione di scala regionale, la Dawlah Islamiyah. I combattenti - almeno una quarantina quelli individuati dall’intelligence militare – sarebbero non solo miliziani sopravvissuti alla battaglia di Marawi e ai successivi scontri, ma anche giovani reclute.
Nel tentativo di impedire una diffusione in altre regioni di Mindanao, il comando della task-force ha chiesto la collaborazione delle autorità locali e dei residenti. “Dobbiamo aiutarci reciprocamente per impedire la proliferazione del radicalismo”, ha sottolineato Galido domenica. “Questo è importante, perché se ciò accadesse avremmo un problema ancora più grave, forse anche qualcosa già visto a Marawi. Dobbiamo impedire il reclutamento dei giovani”.
Il ritorno dell’estremismo armato in un’area strategica dell’Asia inquieta anche molte diplomazie e rischia di far deragliare il faticoso processo di autonomia delle aree meridionali a maggioranza musulmana delle Filippine incluse nella Bangsamoro Autonomous Region in Muslim Mindanao (Barrm). In transizione fino al 2025, il governo Bangsamoro è considerato un banco di prova per l’attuazione di un potenziale federalismo nel Paese.