Migliaia di sopravvissuti ai pogrom dell’Orissa accusano il Bjp di proteggere il “terrorismo” religioso
Bhubaneswar (AsiaNews) - Oltre 5mila cristiani delle minoranze dalit e adivasi sono scesi in piazza ieri e hanno marciato per le strade di Raikia nel distretto di Kandhamal (Stato indiano dell’Orissa), chiedendo che sia fatta giustizia e che ritorni la pace e l’armonia, a sette anni dai massacri contro i cristiani perpetrati nel 2008 da fondamentalisti indù. I manifestanti hanno marciato per circa due chilometri gridando slogan come “Vogliamo la pace, non la violenza”, “Stop alle atrocità contro le minoranze e le donne”, “Chiediamo risarcimenti adeguati” e “Non dividete le persone in nome della religione e della razza” (v. foto). Mani Shankar Aiyar, ex ministro del governo centrale, ha detto durante la manifestazione: “Dovremmo dimenticare quello che è accaduto? Dimenticare sarebbe un crimine. Giustizia deve essere fatta”. Alcuni leader di partiti comunisti all’opposizione hanno criticato il Bjp (Bharatiya Janata Party, partito nazionalista indù guidato dal premier Narendra Modi), sostenendo che il partito “punisce persone innocenti, invece di assicurare i criminali alla giustizia”.
La manifestazione di ieri era organizzata dall’associazione “Kandhamal Nyaya Shanti O Sadbhabana Samaj”, che raccoglie i sopravvissuti delle violenze settarie. Oltre all’ex ministro Aiyar, erano presenti anche il deputato Brinda Barat, membro del Communist Party of India (Maoist), e Kavita Krishnan, ex deputato e leader del Communist Party of India (Marxist-Leninist). I cristiani lamentano che a sette anni dal terribile pogrom contro i cristiani avvenuto del distretto di Kandhamal nel 2008 [di cui il 25 agosto ricorreva l’anniversario - ndr], ancora oggi nessuna giustizia è stata fatta.
La morte di Laxamananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp, gruppo ultranazionalista indù), ucciso il 23 agosto 2008 da un gruppo maoista, ha prodotto le atrocità nello Stato dell’Orissa. Nonostante i guerriglieri ammettano subito la loro responsabilità, i radicali indù nei giorni seguenti scaricano la colpa sui cristiani, da tempo criticati dal guru per il loro impegno sociale con tribali e dalit (fuori casta) e accusati - insieme a vescovi, sacerdoti e suore - di fare proselitismo.
Aiyar ha testimoniato quello che lui stesso ha vissuto durante i giorni di violenze: “In qualità di ministro del governo centrale, io visitavo queste bellissime terre. Ora torno qui dopo i massacri e provo profondo dolore. Qui vivevano in pace diverse religioni e caste. Ma all’improvviso tantissime persone sono state uccise, sfollate, case e chiese distrutte, donne stuprate e molestate. Ancora adesso molti sopravvissuti non possono fare ritorno alle proprie case”.
L’associazione dei sopravvissuti ha scritto una lettera al presidente dell’India Pranab Kumar Mukherjee, riportando i numeri degli attacchi del 2008. I pogrom hanno costretto alla fuga 56mila fedeli e causato la razzia e il rogo di 6.500 case in 600 villaggi. Secondo i dati del governo i morti accertati sono stati solo 38; due le donne stuprate; numerose le persone con mutilazioni e danni permanenti.
Tuttavia, il bilancio di Chiesa e attivisti sociali sono altri: 350 chiese distrutte e 35 istituiti (conventi, scuole, ostelli e istituti di assistenza) danneggiati, bruciati o saccheggiati. Almeno 90 le vittime, tra cui disabili, anziani, bambini, donne e uomini. L’associazione stima che almeno 10mila bambini sono stati costretti ad abbandonare gli studi. Inoltre molte minori sono state trafficate in altri Stati come schiave del sesso o come lavoratrici domestiche; la maggior parte di loro ha subito violenze dai datori di lavoro, costrette a non denunciare gli abusi per mantenere la propria famiglia.
Tra coloro che hanno subito violenza, anche p. Thomas Chellan, direttore del centro pastorale Divyiajyoti, e suor Meena Barwa (nipote del mons. John Barwa svd, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar), che era con lui al momento dell’aggressione. Entrambi sono ancora in vita, a differenza di p. Bernard Digal, morto in ospedale dopo mesi di sofferenze e ricordato tra nel primo monumento eretto a marzo di quest’anno in onore dei martiri dei pogrom.
A proposito di questi dati, Krishnan riferisce: “Quello che il Sangh Parivar [l’organizzazione-ombrello che raccoglie molte associazioni paramilitari indù, tra cui il Vhp - ndr] ha fatto a Kandhamal deve essere considerato terrorismo. Se non è terrorismo, cos’altro può essere?”. “Il Bjp [membro del Sangh Parivar - ndr] - continua - non rappresenta la religione indù. Rappresenta invece la politica di odio in nome della religione. Il governo dell’India punisce persone innocenti invece di assicurare giustizia alle vittime”. Il riferimento è ai sette cristiani innocenti condannati all’ergastolo per l’omicidio del guru Laxmanananda dopo una serie di rinvii e processi-farsa.
Quello che più indigna, secondo l’avvocato Dibakar Parichha che segue le azioni legali delle vittime, “è che le proprietà dei cristiani hanno subito danni per un valore di 90 crore [12 milioni di euro - ndr], ma le vittime hanno avuto risarcimenti solo per un totale di 70 lakh [circa 94mila euro]”.
Ajaya Kumar Singh, attivista del Kandhamal Nyaya Shanti O Sadbhabana Samaj e che ha presieduto la manifestazione, conclude: “La pace non è assenza di violenza, ma vivere liberi dalla paura e dall’insicurezza. Abbiamo diritto all’uguaglianza, alla libertà e alla giustizia. Questi sono diritti universali e inalienabili”.
14/09/2015