Mentawai, Chiesa e associazioni cattoliche per i profughi abbandonati dal governo
Jakarta (AsiaNews) – A quasi due mesi dal devastante tsunami delle Mentawai avvenuto il 26 ottobre scorso e costato la vita oltre 500 persone, continua il lavoro di Caritas e associazioni cattoliche indonesiane, uniche rimaste a dare sostegno alla popolazione. Organizzazioni nazionali e straniere hanno preferito lasciare il campo poche settimane dopo la tragedia, per le difficoltà a raggiungere i superstiti e gli alti costi di mantenimento delle missioni. L’arcipelago dista 10 ore di navigazione da Padang ed è colpito da continue tempeste che rendono spesso impossibile la navigazione.
Irene Setiadi, responsabile dell’associazione cattolica Kelompok Bakti Kasih Kemanusiaan (Kbkk), afferma ad AsiaNews che “in Indonesia in caso di disastri naturali i gruppi umanitari nazionali e stranieri rispondono subito alle emergenze, ma dopo qualche settimana abbandonano il sito”. “La Kbkk e le altre associazioni si inseriscono ora aiutando i superstiti in quelle aree periferiche impossibili da raggiungere per i normali soccorsi”. La Setiadi sottolinea che prima di andare in soccorso delle vittime, l’organizzazione cerca di mettersi in contatto con i leader locali per comprendere la situazione e verificare le aree non coperte dai normali aiuti di Stato e comunità internazionale. Nel caso delle Mentawai, il Kbkk e altre associazioni diocesane hanno inviato nove volontari nelle isole di Sikakap e Sipora le più colpite dalla tragedia e inaccessibili per i soccorsi.
La Setiadi conferma che la maggior parte dei superstiti dello tsunami sono costretti a rimanere nei loro rifugi temporanei senza alcuna scadenza precisa dovuta alla lentezza del governo.
“Il nostro principale obiettivo – continua – è portare aiuto a chiunque abbia bisogno, soprattutto le vittime dimenticate. Lo Spirito Santo ci ha guidato verso l’isola di Sipora dove abbiamo iniziato a portare l’amore di Dio e la compassione della Chiesa alle vittime dello tsunami”.
P. Christo Yohan, missionario francescano tra i coordinatori della missione racconta che il gruppo ha dovuto sfidare onde alte tre metri e tempeste oceaniche per raggiungere l’isola, dove vi sono circa 66 famiglie rifugiate in ripari di emergenza e 143 ancora senza tetto. “Gli abitanti – afferma il sacerdote – ci hanno chiesto con urgenza un gruppo elettrogeno, bidoni per grandi depositi di acqua pulita e servizi sanitari".
Il missionario sottolinea l’inerzia del governo, che a tutt’oggi non ha fatto nulla per questa gente, nonostante le promesse fatte all’indomani dello tsunami. “Una promessa è una promessa – dice – ma in realtà qui non hanno ancora iniziato a costruire il centro di accoglienza temporaneo che doveva essere pronto prima di Natale”.
Per essere vicini alla popolazione, in maggioranza di religione cristiana, i volontari hanno celebrato una messa sotto un riparo temporaneo. "Ciò che ci ha fatto impressione – continua p. Yohan – è vedere decine di ragazzi che non avrebbero mai più incontrato i genitori perché morti o dispersi”.