Mar Cinese: 4 candidati alla presidenza contro la politica filo-Pechino di Duterte
Marcos jr., in testa nei sondaggi, mantiene una posizione più ambigua. Chiesto il rispetto della sentenza internazionale del 2016, che respinge le rivendicazioni cinesi. I quattro guardano alla cooperazione con gli Usa e con i suoi alleati; vogliono una maggiore presenza militare di Manila nell’area.
Manila (AsiaNews) – Quattro dei cinque principali candidati alle presidenziali filippine del 9 maggio sono contro la politica sul Mar Cinese meridionale del capo dello Stato uscente Rodrigo Duterte, ritenuta troppo filo-Pechino. Le loro posizioni sono emerse nel weekend durante un’intervista congiunta con GMA News. Ferdinand Marcos Jr, in testa finora nei sondaggi, non ha partecipato al confronto.
Sin dalla sua elezione nel 2016, Duterte ha costruito un rapporto privilegiato con la Cina. A differenza del suo predecessore Benigno Aquino III, egli ha cercato di ridurre le tensioni con i cinesi, decidendo di ignorare una sentenza della Corte internazionale di arbitrato dell’Aia, che ha definito “senza basi legali” le rivendicazioni cinesi su quasi il 90% del Mar Cinese meridionale.
Manila, insieme a Vietnam, Brunei, Malaysia, Taiwan e in parte l’Indonesia, si oppone alle pretese territoriali cinesi. Ciò non ha impedito al gigante di militarizzare alcune isole e banchi coralliferi dell’area. Per contenere l’espansione cinese, le navi da guerra degli Stati Uniti compiono regolari pattugliamenti nei pressi di questi avamposti militari.
L’attuale vice presidente Leni Robredo ha dichiarato che se vincerà le elezioni lavorerà alla formazione di una coalizione di Paesi contro le azioni militari della Cina nelle acque contese. Secondo la candidata presidenziale, l’iniziativa trova fondamento nella sentenza arbitrale del 2016, che respinge la Nine-Dash line, la demarcazione territoriale rivendicata da Pechino secondo presunte motivazioni storiche.
Un altro candidato, il senatore Panfilo Lacson, è sulla stessa lunghezza d’onda. Egli ha detto che le Filippine dovrebbero rafforzare le alleanze con Stati Uniti, Giappone, Australia, Unione europea e altri governi con forti Forze armate. Al contrario, appena eletto, Duterte aveva annunciato la “separazione” del Paese dall’alleato Usa. La sua posizione è cambiata negli ultimi tempi: a fine luglio egli ha abbandonato l’idea di cancellare il Visiting Forces Agreement, che permette alle forze statunitensi di operare nelle Filippine.
Manny Pacquiao, avversario di Duterte all’interno del Pdp-Laban, ha affermato che Manila non deve accettare le prepotenze di Pechino, anche se egli chiede maggiori discussioni sul nodo Mar Cinese meridionale. Il famoso pugile ha criticato spesso l’attuale presidente, accusandolo di essere troppo debole con la Cina riguardo alle controversie territoriali. Per il quarto candidato, il sindaco di Manila Isko Moreno, il Paese deve rinforzare invece la propria presenza militare nella regione contesa.
Marcos, figlio dell’omonimo dittatore che ha governato le Filippine dal 1965 al 1986, è rimasto finora ambiguo sulle questioni territoriali con la Cina. Secondo diversi osservatori, la presenza al suo fianco di Sara Duterte – figlia del presidente – come aspirante vice capo di Stato fa pensare che egli voglia cercare un difficile equilibrio tra Pechino e Washington.
Pechino vorrebbe la continuazione della politica di Duterte, che ha puntato tutto sul rafforzamento delle relazioni con i cinesi (in cambio di investimenti arrivati solo in parte), malgrado la tradizionale alleanza del suo Paese con Washington.
Con l’obiettivo di ridurre le tensioni, l’Associazione dei Paesi del sud-est asiatico è impegnata da tempo a negoziare con la Cina un “codice di condotta” per la navigazione nel Mar Cinese meridionale. I negoziati si trascinano però dal 2016 con scarsi risultati, soprattutto perché i cinesi si rifiutano di attribuire al documento un valore legale vincolante.
Robredo, Lacson, Pacquiao e Moreno si sono detti tutti favorevoli ad attività esplorative congiunte nel Mar Cinese meridionale, considerato ricco di idrocarburi. La vice presidente ha precisato però che ciò potrà avvenire solo se “tutte le parti” in causa riconoscono il verdetto del tribunale dell’Aia.
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