Mar Cinese meridionale: Manila e Washington giocano alla guerra in chiave anti-Pechino
Manila (AsiaNews/Agenzie) - Migliaia di soldati di Filippine e Stati Uniti hanno iniziato oggi le esercitazioni militari congiunte, nei pressi delle aree contese con Pechino nel mar Cinese meridionale. I "giochi di guerra", della durata di 12 giorni, comprendono operazioni di sbarco, anfibie ed esercitazioni di terra, che riguardano 3.500 marines Usa e oltre 1.200 colleghi filippini. Le attività sono iniziate dall'isola occidentale di Palawan, che si affaccia proprio sul mar Cinese meridionale. La scelta non è casuale: il mese scorso Manila ha protestato in via ufficiale con Pechino per la crescente presenza di navi da pattuglia cinesi nella Reed Bank e per la crescente insofferenza di nazionalisti filippini nei confronti del gigante asiatico.
Il tenente Jerber Anthony Belonio, portavoce della Marina filippina, sottolinea che l'area teatro delle esercitazioni congiunte fra Manila e Washington non è legata alle dispute territoriali con Pechino. Nella zona è di stanza "la nuova brigata marittima di sbarco", aggiunge il militare, ed è intenzione del governo filippino "mostrarne le capacità".
Nell'ultimo periodo le Filippine hanno rafforzato la presenza di soldati e le basi a Palawan, avamposto sui territori contesi nel mar Cinese meridionale, oltre che essere un territorio ideale per la pesca e rotta privilegiata per i commerci. I vertici dei reparti speciali americani spiegano che le esercitazioni potranno "migliorare" l'interazione fra gli eserciti Usa e filippino, con una particolare attenzione "alle questioni regionali" e le "crisi in materia di sicurezza nei mari".
Da tempo Vietnam e Filippine - che ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu - manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale. Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel, isole contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori). A sostenere le rivendicazioni dei Paesi del Sud-est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che a più riprese hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue", usata da Pechino per marcare il territorio. L'egemonia riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area dell'Asia-Pacifico di elevato interesse per il passaggio dei due terzi dei commerci marittimi mondiali.