Manifestazioni in Myanmar: 17 uccisi. I rischi di una guerra civile
Solo oggi, vi sono stati 7 morti a Myaing, 3 a Myeik, 1 a Mandalay, 2 a Bago, 1 a Myingyan, 1 a North Dagon, un quartiere vicino a Yangon. Dagli inizi delle manifestazioni, vi sono state almeno 60 morti, fra uccisi e torturati, centinaia di feriti e circa 2mila arresti. Il Consiglio di sicurezza Onu condanna le violenze, ma non il colpo di Stato per l’opposizione di Cina, Russia, India, Vietnam. Per contrastare la giunta, si parla di una federazione fra tutti gli armati delle etnie.
Yangon (AsiaNews) – Almeno 17 persone sono state uccise in diverse città del Paese dove la gente si è radunata per manifestare contro il colpo di Stato militare che dura dal 1° febbraio scorso.
Nel tentativo di eliminare le proteste, la giunta ricorre alla violenza e all’uso di proiettili letali: molte vittime sono colpite alla testa con armi da fuoco.
Secondo notizie dei gruppi social, sette persone sono state uccise a Myaing (nel centro del Paese) proprio all’inizio della protesta. I poliziotti hanno cercato di arrestare alcuni dei dimostranti e ne è nata una lotta, conclusa con spari da parte dei militari che hanno ucciso alcuni dei partecipanti. Gli uccisi hanno fra i 36 anni (il più vecchio) e sotto i 30 anni.
Altri morti si contano a Myeik (3), Mandalay (1), Bago (2), Myingyan (1), North Dagon-Yangon (1).
Dagli inizi delle manifestazioni, vi sono state almeno 60 morti, fra uccisi e torturati, centinaia di feriti e circa 2mila arresti. Intanto gli scioperi del movimento di disobbedienza civile si sono diffusi in tutto il Paese.
Ieri sera, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha condannato la violenza contro i dimostranti inermi, domandando ai militari più controllo. Ma il Consiglio non ha denunciato il colpo di Stato, né minacciato sanzioni a causa dell’opposizione di Cina, Russia, India, Vietnam.
La Cina subisce valanghe di critiche sui social birmani e internazionali, perché accusata di essere sempre dalla parte della giunta. Ieri sera però, l’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun ha diffuso un comunicato in cui afferma che per il Myanmar “è tempo di procedere a una de-escalation” e che “è tempo di dialogare”, rivendicando di aver partecipato al Consiglio di sicurezza in modo “costruttivo”.
Ci sono sempre più appelli perché i vari eserciti legati alle etnie del Paese (Shan, Kachin, Karen, Chin, Arakan, …) costituiscano un unico esercito federale per combattere l’esercito nazionale guidato dalla giunta.
Quasi in risposta a questa mossa – e forse per confondere la situazione – la giunta ha oggi tolto dalla lista di gruppi terroristi l’Arakan Army, che ha combattuto coi Kachin, nel nord, ma anche nel Rakhine contro la popolazione locale e i Rohingya.
Se questa direzione si consolida, sarà inevitabile una guerra civile.
27/03/2021 11:17
13/03/2021 09:27