Manifestazioni contro la Cina, che “ha le chiavi della pace in Myanmar”
Yangon (AsiaNews) – “È la Cina ad avere in mano le chiavi per liberare Aung San Suu Kyi”. Con questa convinzione oggi un gruppo di Ong e di attivisti birmani all’estero hanno organizzato manifestazioni pacifiche in tutto il mondo, nel giorno del 12° anniversario di detenzione della leader democratica e Nobel per la pace. Nell’ex Birmania, intanto, la situazione sembra in apparenza tornata alla calma, dopo la violenta repressione delle manifestazioni anti-giunta del mese scorso. Cittadini a Mandalay e Yangon, però, denunciano ancora arresti. Mentre le autorità giudiziarie sono impegnate a “fabbricare” accuse ufficiali contro i manifestanti in carcere, in modo da poterne giustificare la detenzione.
In 12 città, da Bangkok a Brasilia, sono previste per oggi proteste davanti alle sedi diplomatiche cinesi. “Vogliamo che la Cina eserciti la sua influenza sui generali birmani – dice un attivista nella capitale thailandese – che imponga sanzioni economiche contro il governo”. All’indomani della sanguinosa repressione di monaci buddisti e civili che a settembre hanno manifestato per la pace e la democrazia, Pechino – stretta alleata dei generali - è stata chiamata da più parti a mitigare a durezza della giunta. Ma senza risultati, perché il governo cinese non ritiene la questione birmana una minaccia per la sicurezza della regione.
Oggi l’inviato Onu per il Myanmar, Ibrahim Gambari, si trova proprio in Cina, tra le ultime tappe del suo viaggio diplomatico in Asia, mirante ad intensificare la campagna mondiale per il processo democratico nella ex Birmania. Nella prima settimana di novembre Gambari si recherà di nuovo in Myanmar, ma non dovrebbe incontrare nessuno dei leader della giunta.
Intanto nel Paese della “rivoluzione zafferano” , alcuni cittadini di Mandalay raccontano ad AsiaNews della quiete per le strade che “stride con l’angoscia della popolazione”, . “L’economia è ferma – dicono – soprattutto il calo drastico del settore turistico ha gettato sul lastrico gli impiegati giornalieri, che ora lavorano meno di 15 giorni al mese per un guadagno più che dimezzato”. “La gente ha paura di uscire di casa ed essere arrestata – riferiscono - e per la forte superstizione che governa il nostro popolo, si teme che succederà qualche catastrofe, a causa dell’offesa perpetrata dai militari contro la religione buddista, cosa mai avvenuta in passato”. Alcuni pubblici ministeri - anonimi per ovvi motivi di sicurezza - raccontano di essere chiamati dalle autorità per “fabbricare accuse formali contro i manifestanti, così da giustificarne la detenzione, qualora se ne chiedesse spiegazione soprattutto dalla comunità internazionale”.
La popolazione rimane comunque attenta a quel che succede e cerca come si può di avere informazioni dall’estero: “Tutti parlano della prossima visita dell’osservatore dell'Onu per i diritti umani, Paulo Sergio Pinheiro e tutti sperano ancora che la diplomazia internazionale riesca a far incontrare la “Signora” ed i generali”.