Mahsa Amini: anche due detenute cristiane firmano appello contro le esecuzioni
Dalla prigione 30 donne sottoscrivono una lettera aperta per dire “no” a processi sommari e impiccagioni di manifestanti pacifici. Sara Ahmadi e Malihe Nazari stanno scontando otto e sei anni per l’appartenenza a case di preghiera. Altre tre giornaliste arrestate in questi giorni per aver raccontato la repressione degli ayatollah.
Teheran (AsiaNews) - Vi sono anche due cristiane convertite dall’islam, fra le 30 donne iraniane che dal carcere hanno sottoscritto una lettera aperta per dire “no” a processi sommari ed “esecuzioni di Stato” di manifestanti pacifici in piazza per protestare contro la morte della 22enne curda Mahsa Amini. Secondo gli attivisti di Article18, sito specializzato nel documentare le repressioni in atto nella Repubblica islamica, le due donne sono Sara Ahmadi e Malihe Nazari, che stanno scontando rispettivamente otto e sei anni di carcere per l’appartenenza a case di preghiera.
Entrambe si sono unite alle compagne detenute nell’area femminile del famigerato carcere di Evin, firmando la dichiarazione condivisa ieri sui social di un’altra delle donne firmatarie, Fariba Adelkhah. “Noi, prigioniere politiche e per reati di pensiero - si legge nel testo - della sezione femminile della prigione di Evin, chiediamo la fine delle esecuzioni dei manifestanti e la fine di pene ingiuste, inflitte ai prigionieri in Iran”.
Nella lettera aperta le donne dichiarano di provenire da religioni, culture, background diversi - cristiane, baha’i, monarchiche, marxiste, ambientaliste, madri per la giustizia, etc - ma di essere al tempo stesso unite dalla battaglia contro le “esecuzioni di Stato”. ”Noi stesse - proseguono - siamo state condannate a un totale di 124 anni di prigione in seguito a processi ingiusti e non trasparenti, [ma vogliamo] difendere il diritto delle persone alla vita con giustizia”.
Sara è la moglie di Homayoun Zhaveh, uomo di 64 anni con un Parkinson in fase avanzata, che sta anch’egli scontando una pena di due anni a Evin per il suo coinvolgimento in preghiere organizzate in chiese domestiche. Si tratta delle “house-churches” invise al regime degli ayatollah, che le considerano covi di “gruppi nemici” che “minacciano” la sicurezza nazionale; a oggi vi sono almeno 18 cristiani in carcere per la loro adesione a questi gruppi. Malihe faceva invece parte del gruppo di persone arrestate perché legate a Joseph Shahbazian, un pastore iraniano-armeno che ora sta scontando una pena di 10 anni a Evin.
Intanto proseguono gli arresti di giornaliste che raccontano, con il loro lavoro, la repressione governativa delle protesta di piazza. In questi giorni altre tre croniste sono state fermate e condotte in carcere, portando a 79 il numero complessivo di reporter - uomini e donne - finiti in cella dall’inizio delle manifestazioni per Mahsa Amini a metà settembre dello scorso anno. Secondo quanto riferisce l’Associazione giornalisti di Teheran, le ultime in ordine di tempo sono Mmes Melika Hashemi, Saideh Shafiei e Mehrnoush Zarei, ma non vi sono altri dettagli oltre ai nomi. Il quotidiano riformista Etemad aggiunge che le croniste sarebbero state traferite a Evin.